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La Red Bull Youth America’s Cup è forse l’iniziativa migliore di questa Coppa America:   raccoglie dieci equipaggi molto giovani per otto nazioni che regatano a bordo di AC45, che così almeno servono a qualcosa di concreto per lo sviluppo della vela e della velocità. Dopo la prima giornata in testa alla classifica con il margine di un solo punto è l’equipaggio neozelandese condotto da Pater Burling di New Zealand Sailing Team, davanti a Nex World Energy di Antoine Lauriot Prevost (un cognome che la dice lunga sui multiscafi, figlio d’arte) e ai rivali kiwi di Full Metal Jacket Racing di Will Tiller.  Il realtà dopo due regate a pari punti al terzo posto di sono tre barche con Swedish Youth Challenge, timoniere  e American Youth Sailing Force che ha vinto la prima prova.

Valori in campo molto equilibrati con le barche rimesse a posto… dopo le accurate misurazioni di stazza che hanno portato al ritiro di Oracle e Bar Racing dalle classifiche delle World Series lasciando il primato a Luna Rossa Piranha. LA Giuria dovrebbe comunicare le sue decisioni in questi giorni, dopo aver tenuto segreto ogni particolare delle udienze.

Come da programma e da previsioni Luna Rossa ha battuto Artemis nella quarta regata della finale Louis Vuitton Cup e si prepara a incontrare Emirates Team New Zealand dal 17 agosto al meglio di sette regate. E’ la terza volta in quattro sfide che Luna Rossa accede alla finale sfidanti, un bel risultato per un team in gran parte nuovo.
La quarta regata ha una storia leggermente più complessa delle altre tre, con due penalità somministrate agli svedesi, una in partenza e una per aver superato i confini del percorso, ma la sostanza è quella: Luna Rossa ha vinto con un vantaggio di due minuti e undici secondi.  La finale sfidanti era l’obiettivo di Patrizio Bertelli quando ha lanciato la sua quarta sfida e quindi si realizza. “Ho anche la soddisfazione di accedere alla finale con il budget più basso delle mie quattro sfide, nonostante queste barche complicate e il momento difficile della Coppa America”, in un momento in cui la critica di tutto il mondo a questa Coppa America è il budget eccessivo è anche una bella affermazione che fa apparire il budget più una scusa generica che una realtà: anche per altri sarebbe stato possibile partecipare, per esempio facciamo nomi Azzurra, se avesse avuto le idee più chiare e non si fosse fatta intimorire subito dai budget e dal catamarano.
Luna Rossa ha scelto di comprare il progetto neozelandese, scelta fatta a freddo sapendo che non sarebbe stato facile sviluppare la barca ulteriormente ma che sarebbe stato possibile partecipare con buone prestazioni arrivando vicini ai kiwi. Per Patrizio Bertelli d’altra parte, per la sua grande passione, era difficile restare fuori: voleva esserci, fare esperienza sui cat che forse non vuole più, ma non importa. “Credo che per avere successo di pubblico questa Coppa abbia presentato troppe novità: le barche, il percorso, e la mancanza di sfidanti – ha detto Bertelli – stanno giocando contro”.  Ma ci sono errori organizzativi di un certo rilievo, soprattutto nella gestione dello spettacolo, dei diritti televisivi. A San Franscisco hanno costruito tribune da cui non si vede quasi nulla ma si paga il biglietto e dopo l’incidente di Artemis hanno dovuto restituire i soldi. Il tentativo molto americano di vendere anche le mutande è servito poco.
Nei prossimi giorni nella base italiana si lavora a modifiche alla barca. Radio banchina dice che Luna Rossa cercherà di usare delle nuove derive che possono cambiare forma nel lato di bolina, che sarebbero in arrivo dopo esser state costruite in Italia presso il cantiere Persico, dove sono stati realizzati gli scafi. Cambiare come? Un progetto che ha l’aria dell’arma segreta che potrebbe sorprendere i neozelandesi che sono i favoriti.  Potrebbero favorire il foiling di bolina oppure al contrario ridurre il drag (la resistenza) in assenza di foiling raddrizzando il profilo della L.
Dice Bertelli: “Il nostro obiettivo era arrivare in finale e ci siamo riusciti. Credo che battere Emirates Team New Zealand sarà molto difficile, loro hanno una seconda barca e le chiavi dello sviluppo del progetto, che noi abbiamo comprato e che abbiamo faticato ad evolvere”. Ma chissà, adesso è il momento di sperare nel botto conclusivo, nel grande slam con un ritrovato tecnologico, del resto tutti dicono che le “piattaforme” contano meno dei “fin” ovvero del sistema di timoni e derive.
Gli svedesi chiudono con dignità dopo il dramma che li ha travolti. L’armatore di Artemis, Torbjon Tornqvjist,  ha affermato: “tornerò un’altra volta, aspettiamo che finisca questa edizione e che venga definito il formato della prossima edizione, ma il desiderio resta. Sono arrivato in un mondo nuovo che ancora non conosco per intero, però mi affascina”. La campagna di Artemis è costata circa il doppio di quella di Luna Rossa e hanno partecipato a quattro regate, significa circa venti milioni di euro a regata persa. Tanta roba… Qual è l’errore commesso? Il progetto è nato male, e l’inseguimento degli avversari hanno pesato più dell’incidente mortale che certamente è costato tempo. Come ricorda lo skipper italiano Max Sirena: “abbiamo battuto un team che è andato in acqua un anno e mezzo prima di noi e che ha potuto fare un lungo sviluppo tecnologico della barca. Ora faremo il massimo per farci trovare pronti contro Team New Zealand, in questa terza finale della Vuitton Cup per Luna Rossa.”

 

 

 

 

 

 

I critici incalzano: questa Coppa America non sarà interessante, costa troppo, non c’è match race, non è il nostro sport antico. Ma è davvero così? Se si prova a spostare il fuoco della prospettiva per andare caccia di contenuti in realtà se ne trovano di forti: tecnologia, tecnica, novità. E’ una regata che ha sempre scritto la sua storia con la grammatica dell’innovazione. La goletta America non era un catamarano ma andava il doppio delle barche inglesi. I sontuosi J Class che con le loro linee ci ricordano decadenza e nostalgia erano in realtà i “mostri” del loro tempo, gli anni ’30. Barche qualche volta costruite con materiali destinati a durare poco, alcuni armati e progettati con l’aiuto di industrie aeronautiche, proprio come succede adesso per i catamarani della classe AC 72 voluti per portare spettacolo e rivoluzione in un mondo dove forse per inseguire il pubblico, bastava mettere a punto le riprese televisive e soprattutto farle davvero. Una delle giustificazioni (conferenza stampa di Roma, c’era ancora Mascalzone Latino nella parte del Challenger of Record) che hanno portato alla scelta dei cat c’era la televisione, ma adesso in pratica non sarà prodotta nelle fasi iniziali.  Fiducia nella macchina, fiducia nella velocità, fiducia nel rischio e non della capacità di comunicare degli atleti e degli uomini: sono alcuni di quelli che potrebbero essere errori di prospettiva, indossando gli occhiali dello sport olimpico, che hanno portato verso questa che si è dimostrata essere una dimensione rischiosa anche se affascinante. L’estetica non compresa di questa Coppa è la velocità, marinettiana e definitiva. Negli anni trenta l’aviatore sir Thomas Octave Murdoch Sopwith, da sfidante di Harold Vanderbilt, per gli Endeavour aveva voluto i suoi ingegneri: dalle sue fabbriche erano usciti i Sopwith Camel cari a Snoopy che sui cieli d’Europa incontravano il Fokker del Barone Rosso. Dunque poco si inventa, tanto si applica, anche perché tutto quello che si muove in acqua somiglia tanto a quello che vola in cielo. E gli AC 72 volano sull’acqua con le loro vele rigide e le derive da aliscafo. Ala che già il magico Dennis Conner aveva usato per umiliare i neozelandesi nell’88 con il suo Stars & Stripes. Al bar adesso si parla in aeronautico: drag, fin, foil, wing, wetted surface, CFD computational fluid dynamics. Se dopo Azzurra e il Moro erano tutti professori in tattica dopo questa Luna Rossa saranno tutti ingegneri. Per vincere bisognerà star lontani dall’ avversario ed essere più veloci. Del resto siamo nel terzo millennio e la Coppa America è come un ago della bussola: si orienta dove va il mondo. Purtroppo si è già capito che questi catamarani sono troppo potenti, voluti così grandi per non esser più piccoli di barche di altre regate importanti alla fine sono attrezzi isterici: formidabili prestazioni, formidabili rischi. Come in Formula Uno? Si, no, quasi: passato il tempo in cui salirci era sinonimo di vivere a tomba aperta le auto hanno raggiunto un grado di sicurezza notevole perché se ne conoscono le reazioni. Lo stesso carbonio con cui sono costruite le barche serve per realizzare una cellula di sicurezza dove il pilota è protetto. Questa strada di questa tecnica è sicuramente impervia, criticabile, soprattutto perchè sul piano emotivo una morte, oltre tutto così mal gestita, pesa e peserà ancora molto. Qualcosa però di questo nuovo mondo resterà. I kiwi hanno imparato la lezione: hanno costruito una barca che non gli piaceva, per vincere e cambiare le regole. Anche la poesia di un equipaggio condotto da un uomo di sport vero come Grant Dalton (che la sua velocità non sia casuale?), che ricordiamo agli smemorati ha vinto un giro del mondo in catamarano con un prosciutto nascosto nell’albero da Stefano Rizzi. Dalton, manager a terra e grinder in volo,  è un simbolo di come si possono ottenere i risultati, di come si costruisce una squadra vincente soldi o non soldi. La vittoria, come la mediocrità, sono un metodo di vita, un driver che cala in ogni squadra, un carattere. Per i kiwi, comunque vada a finire, vincere è una professione che si pratica con una grammatica di eventi e desideri che sono molto lontani dalla vela come la conosciamo in occidente, tutta aperitivi e mondanità. Certo esistono anche quelle cose li, ma non sono la sostanza. Comunque vada ci ricorderemo di questa Coppa, cercheremo di capire quanto Oracle abbia aiutato Artemis dentro e fuori dalla sala Giuria, così come Luna Rossa non sia veloce quanto New Zealand. Ma un ricordo forte sui libri ci sarà. E questa è Coppa America.

E’ andata meglio la seconda regata di Luna Rossa contro i “mostri” di Emirates Team New Zealand, meglio nel senso che il distacco finale di 2 minuti e 20 secondi segna un progresso rispetto alla prima regata, chiusa con oltre cinque minuti di ritardo. Meglio la partenza, con Luna Rossa avanti di mezza lunghezza sugli avversari, e meglio la velocità complessiva. Tuttavia…. I neozelandesi hanno corso con la loro Aotearoa, questo il nome della barca, come se niente fosse quasi tutta la regata con la sola ala, dopo aver rotto il fiocco nella prima bolina ed averlo abbandonato in mare dopo aver capito che non era possibile rimetterlo a posto a bordo. Che su queste barche il piccolo fiocco, con vento deciso, serva solo a fare le manovre (soprattutto per spostare la prua) e che non contribuisca granché alla propulsione era noto però loro hanno corso come se niente fosse, applicando tutte le loro solite bravure e tecniche di regata, compresa la strambata restando in sospensione sulle derive. Ancora una volta i neozelandesi guidati a terra da Grant Dalton e in mare da Dean Barker, hanno dato una bella lezione di vela a tutti, trasformando quello che poteva essere un disastro in una giornata normale. Freddi a bordo, composti, hanno aspettato che Adam Beashel tentasse di ammainare la vela, poi strappata dal vento, controllando Luna Rossa che non ha potuto profittare dell’occasione. Con il punto fatto nella seconda regata vera, con un avversario sul campo, hanno anche praticamente conquistato la qualifica alla fase finale della Louis Vuitton Cup, significa (ma probabilmente non lo faranno, anche se esiste il concreto rischio di rompere qualcosa) che potrebbero presentarsi sul campo di regata dopo la metà di agosto per incontrare il vincitore tra Luna Rossa e Artemis, che in questi giorni dovrebbe finalmente mettere in acqua la seconda barca. Mentre Artemis insiste nel voler usare i timoni adesso proibiti che gli assicurano d navigare meglio e Sirena glielo nega dicendo “non è un pezzo di ricambio che manca, loro i timoni giusti li hanno e non li vogliono usare” si discute una protesta un po’ ridicola contro Luna Rossa: ha disertato (era il tempo i cui si aspettava la discussione di una più sostanziale faccenda riguardo il regolamento, che poi ha dato ragione a Luna Rossa) la festa inaugurale di Louis Vuitton, mandando solo una piccola rappresentanza e non tutto l’equipaggio. Luna Rossa contro protesta lamentandosi per un manifesto dove compare riconoscibile ma senza scritte Prada, cancellate in Photoshop. Max Sirena, sintetizza così la giornata: “Il fatto che oggi Emirates Team New Zealand non abbia perso molta velocità nonostante navigasse senza fiocco non ci ha stupito. Avevamo già sperimentato in precedenza quanto sia l’ala a determinare la velocità effettiva degli AC72. Di bolina il fiocco aiuta nelle virate e, in alcune condizioni, a stringere qualche grado di più, ma costituisce anche un attrito. Questa settimana siamo riusciti a ridurre il distacco con i neozelandesi lavorando non solo su alcuni aspetti tecnici ma anche sulla gestione dell’imbarcazione e delle manovre. Abbiamo iniziato questa campagna di Coppa America con più di anno di ritardo rispetto agli altri team e stiamo utilizzando i Round Robin per mettere a punto l’assetto a bordo e gli aspetti progettuali in vista delle semi-finali della Louis Vuitton Cup. Siamo sulla buona strada ma dobbiamo ancora progredire sia nella tecnica che nelle manovre.”

La Coppa dopo la vittoriosa difesa di America Cubed contro il Moro di Venezia è rimasta a San Diego.  Gli americani però sono deboli, nessun dream team con fondi consistenti come nel ’92. Ci sono però le selezioni dei defender cui partecipano Stars & Stripes di Dennis Conner, Young America che sfoggia tecnologia e una barca decorata dall’artista Roy Lichtenstein. Bill Koch schiera Mighty Mary, con equipaggio femminile e America Cubed decisamente più lenta. Gli americani si perdono tra giochi politici e vittorie in acqua e alla fine il defender è uno strano miscuglio di intenzioni. Dennis Conner, che ha scelto per timoniere Paul Cayard, vince con Stars & Stripes ma riconosce che la sua barca è lenta (ha vinto con l’esperienza e un equipaggio fortissimo) e chiede di usare Young America, del sindacato allestito dal vecchio amico John Marshall. Probabilmente è più veloce Mighty Mary, ma con Bill Koch tra proteste varie hanno litigato troppo e una eventuale vittoria con la sua barca non sarebbe opportuna. Conner commette un errore fondamentale: rifiuta di farsi “insegnare” come funziona Young America e pretende di cambiare le regolazioni e la messa a punto solo per averla osservata dall’esterno, proabilmente non avrebbe vinto ma forse qualche cosa di più poteva dire.
La vera battaglia nella fase preliminare, come spesso accade, è però stata nella spettacolare Louis Vuitton Cup, dove i soliti protagonisti hanno dato grande spettacolo.  Lo sfidante è Team New Zealand, che arriva all’ incontro dopo aver perso una sola regata in tutta la serie per una piccola avaria. Quello dei kiwi è uno squadrone: sir Michael Fay dopo aver animato alcune sfide determinanti ha ceduto tutto il materiale a Peter Blake, recente vincitore del giro del mondo. Peter fa leva sullo spirito di team e sceglie per timoniere Russell Coutts, un maniaco della match race assieme al tattico Brad Butterworth e alcuni ragazzi che da tempo regatano con loro. Alcuni uomini lavorano insieme dall’87 (anno del dodici metri di vetroresina) e hanno accumulato una bella esperienza. I progettisti sono Doug Peterson e Laurie Davidson, c’è anche Tom Schnackenberg che alterna il lavoro di navigatore a quello di coordinatore delle vele. Blake dopo l’esperienza con Bruce Farr (autore e sostenitore del bompresso e della twin keel nel 92) ha deciso di ridurre drasticamente il potere dei progettisti e costruire un nuovo dialogo con l’equipaggio che vuole soprattutto affidabilità. Tutta la barca è costruita attorno al piano velico molto magro ed è strettissima. Si tratta di una “two boat campaign” nel vero senso della parola, i due scafi sono praticamente identici e progrediscono uno per volta per poter valutare a fondo l’effetto delle modifiche.  Tra gli sfidanti c’è il grande ritorno di John Bertrand (lo skipper vincitore dell’83) con Australia One che conquista un singolare primato: lo scafo si spezza al centro e affonda in pochi secondi diventando l’unica barca della storia della Coppa ad essere affondata in regata. Una esperienza simile toccherà nel 2000 a Young America, ma l’equipaggio riuscirà a riportare la barca in porto. La barca persa poteva essere l’unica a dare qualche pensiero ai kiwi, mentre quella che resta, la prima varata, non è all’altezza. Gli altri sono più lontani: c’è ancora Nippon con John Cutler e Peter Gilmour, c’è Tag Heur disegno di Farr con Chris Dickson e alcuni vecchi leoni: è un programma low budget ma in alcune condizioni e con la cattiveria di Chris è davvero pericolosa, Farr escluso da New Zealand sa comunque il fatto suo e si esprime con uno scafo tradizionale molto rapido.  Pedro Campos si presenta con Rioja de España, ci sono Sydney ’95 del grande appassionato ma non molto generoso Syd Fischer e France con una sontuosa campagna, che rimane fuori dalle semifinali sfidanti, allestita da Marc Pajot che finirà sulla graticola per i soldi spesi e i modesti risultati ottenuti.
Nelle regate della Coppa New Zealand umilia ogni giorno gli americani infliggendogli distacchi di oltre due minuti,  così la Coppa vola a Auckland. Mitica la conferenza stampa dei vincitori, decisamente alticci: “terremo la Coppa cento anni”. Una dichiarazione un po’ esagerata…

Dopo la sconfitta subìta in Australia, Sir Michael Fay è determinato a vincere la Coppa. Su suggerimento di Bruce Farr  cerca di sorprendere gli americani che tardano a definire come annunciato nuove regole per sostituire i vecchi 12 metri Stazza Internazionale. Fay a nome del Mercury Bay Boat Club (sede in una auto arrugginita) deposita una sfida contro il San Diego Yacht Club secondo il Deed of Gift dove dichiara di presentarsi con un monoscafo con lunghezza al galleggiamento di 90 piedi. Quello disegnato da Bruce Farr è un moderno J Class: imponente e particolare, con le sue ali. Dapprima gli americani non vogliono accettare, ma il giudice Carmen Beauchamp Ciparick della Corte Suprema di New York chiamata in causa li costringe a difendersi. Dennis Conner alle strette decide non senza un pizzico di provocazione di costruire due catamarani che fa disegnare da un pool di designer coordinato da John Marshall di cui fanno parte Gino Morelli e un pool di esperti della “piccola Coppa America”, dove si impiegano cat velocissimi che già usano vele rigide. Uno ha vele tradizionali e uno ha la randa alare in due parti per 160 metri quadri. L’efficienza di queste imbarcazioni è micidiale e il confronto con il monoscafo improponibile. Così Fay torna a rivolgersi alla Corte Suprema, che questa volta gli dà torto; il cat è “legale”. Si arriva alla sfida in acqua e il colosso di 27metri, con un albero di 46 e 600 metri di vela in bolina, contro l’agile e veloce catamarano di 18 fa una brutta figura, in due sole regate senza storia. Kiwi Magic finirà parcheggiato su un piazzale a Auckland, testimone di un’avventura considerata la peggiore edizione della Coppa, sebbene con i suoi elementi di spettacolarità. Nell’89 la Corte è chiamata ancora a decidere sulla regolarità delle regate: prima assegna la vittoria ai kiwi e poi in appello ci ripensa. È una edizione di rottura, dopo la quale si decide di definire una nuova regola di classe che sarà la IACC, utilizzata in cinque diverse versioni fino al 2007, e una vera rifondazione dell’evento. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quella nautica è considerata la prima industria del paese, con un valore di oltre 2 miliardi di dollari, di cui si prevede una crescita di un altro miliardo entro il 2025. Sono i livelli, più meno di quando dichiarava quella italiana prima della crisi. C’è sempre una incertezza nella veridicità di questi dati, però è chiaro a tutti che ha comunque avuto un peso fondamentale a livello inernazionale, se non proprio in termini di numeri certamente per innovazione e qualità.
I prodotti e i servizi vanno dalla costruzione di barche da regata di altissimo livello ai superyachts, ai motori jet, alberi, cime, vele, elettronica, software. Cantieri come Cookson, Alloy Yachts, Marten, sono ben noti. Molti prodotti sono al più alto livello di qualità e contribuiscono a sostenere l’immagine del paese come fornitore di eccellenza, con una analogia forte con quanto succede (succedeva?) in Italia. Molte industrie esporranno durante l’Auckland International Boat Show che sarà aperto nel Viaduct Basin dall 11 marzo fino al 14. Una manifestazione non grande, ma certamente utile. Auckland si considera come un “hub” della tecnologia legata al mare. L’industria nautica neozelandese impiega più di 10 mila persone e la regione attorno alla città ne occupa circa il 60%. Dopo le regate della Louis Vuitton Cup e la successiva America’s Cup del 1999/2000 la crescita dell’industria nautica neozelandese ha visto un significativo progresso. Lo stesso fenomeno si è prodotto con le regate del 2002- 2003, che hanno contribuito a rinforzare immagine e valore.  .Anche dall’altra parte del mondo la recessione globale ha avuto un impatto rallentando la crescita dell’industria ma è stata aiutata dal fatto che si rivolge in gran parte a un pubblico di velisti che tende a essere più tradizionale, perché coinvolto per passione e divertimento e non “volatile” come quello del settore lusso e motore.