Ultima corsa di luglio domenica notte per Emirates Team New Zealand che dopo aver navigato contro Luna Rossa per conquistare il nono punto dei Round Robin della Louis Vuitton Cup ha comunicato che esercita il suo diritto di presentarsi sul campo la prossima volta per la prima regata della finale della selezione sfidanti che inizia il 17 agosto. La regata contro i nostri eroi è stata la solita formalità: una partenza appena più combattuta e poi una cavalcata solitaria verso l’arrivo con la consueta tecnica perfetta e il vantaggio che cresce a ogni boa per fermare il cronometro a 3 minuti 20 secondi. Poco dopo la fine della regata è salito a bordo Tom Cruise, mossa brillante del sindacato condotto con forza da Grant Dalton che a 56 anni suonati non rinuncia a salire sugli AC72 come grinder. Aver accolto a bordo di Aoteroa un ospite così “delicato” è per i neozelandesi una ulteriore dimostrazione di forza. L’affermazione di essere del tutto tranquilli per la sicurezza della loro barca. Qualcuno ha fatto anche notare che Cruise è il nome di un missile molto famoso, come sta diventando la barca degli All Black della vela. Per i kiwi la decisione di saltare la fase semifinale, che inizia il 6 settembre, era piuttosto ovvia: nessuno rischierebbe la barca (con i rischi che si corrono sotto il Golden Gate) in regata. Lo skipper Dean Barker ha detto che “abbiamo deciso di usare il tempo che abbiamo per migliorare la nostra tecnica di partenza e mettere a punto alcuni particolari della barca”. Emirates Team New Zealand, va ricordato, è l’unico sindacato che ha due barche “full foiling” ovvero realizzate fin dal primo momento per volare sull’acqua. Il defender Oracle ha modificato la prima barca ed esiste una concreta differenza tra prima e seconda, che si traduce in allenamenti peggiori contro se stessi. Nella vela tradizionale capita che la barca lepre per stimolare l’equipaggio titolare venga resa più veloce (si dice metterla fuori stazza, è come aumentare la cilindrata) ma nel caso di Oracle è palese che la barca modificata sia più lenta. La semifinale Louis Vuitton Cup sarà quindi una questione tra Luna Rossa e Artemis che a oggi non ha ancora disputato una regata e ha navigato pochi giorni sul campo cercando di uscire dalla pessima situazione in cui è precipitata dopo l’incidente di Andrew “Bart” Simpson. L’incontro somiglia a quello della finale Louis Vuitton del 2000 quando Luna Rossa era contro AmericaOne di Paul Cayard e i due disputarono una delle regate più combattute della storia finendo 5 a 4. Adesso Cayard è CEO, con qualche critica da smantellare, del sindacato svedese. Il pronostico è a favore di Luna Rossa, che è decisamente in difficoltà contro New Zealand ma che dovrebbe reggere il passo contro gli svedesi. Si è allenata a lungo, anche se come ricorda Max Sirena: “stiamo navigando con barche di una formula molto nuova, la curva di apprendimento è molto ripida e possono esserci sorprese. Artemis potrebbe aver indovinato la barca ed essere più rapida di noi anche con modesto allenamento”. Vero, anche se proprio gli incontri tra Luna Rossa e New Zealand ci hanno insegnato quanto sia determinante anche saper portare la barca al massimo livello.
La Coppa America prosegue lentamente e pesantemente criticata da più parti, forse è un po’ presto per tracciare un bilancio, anche se i conti in tasca ai sindacati si fanno per sentito dire e nessuno rinuncia a dire che costa troppo anche se è piuttosto evidente che cota meno del 2007. Quel che sembra certa è la incapacità degli organizzatori di fare audience: doveva essere la Coppa del Web ma i contatti sul canale You Tube sono ridicoli (5500 durante l’ultima regata ETNZ contro Luna Rossa), forse un segno che i diritti Tv andavano regalati per tempo e che il Web non è ancora abbastanza per conquistare pubblico.
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Emirates Team New Zealand ha vinto senza nessun problema la prima regata del Round Robin 2 della Louis Vuitton Cup, regata di selezione della America’s Cup edizione 34, per la prima volta in una regata vera contro Luna Rossa. I kiwi si sono dimostrati, purtroppo, molto superiori in ogni situazione dimostrando non sono di avere una velocità impressionante ma anche di saper manovrare la barca come fosse un giocattolo. Forse i nostri eroi di grigio vestiti si aspettavano qualcosa di più, di essere più vicini agli avversari con cui condividono parte del progetto, degli allenamenti e delle speranze di strappar via da San Francisco la vecchia brocca per riportarla a una dimensione più umana. Ma dalla partenza, dove sono stati “parcheggiati” come si trattasse di una regata di monoscafi, all’arrivo i ragazzi di Luna Rossa hanno costantemente perso terreno fino a fermare il cronometro a un ritardo di 5 minuti e 23 secondi: è tanto, addirittura troppo per il regolamento che considera classificate la barche che arrivano entro i 5 minuti e considera DNF chi supera il traguardo oltre quel limite di tempo: do not finish è una brutta definizione per una prima regata vera. Insomma sono apparsi più movimentati i giorni di attesa del responso del ricorso alla Giuria Internazionale e le reazioni successive che la regata. Spettacolo? Si, anche se c’è tutta una popolazione di forti critici di questo modo di fare Coppa America, che vorrebbe tornare alle barche che si sfiorano e danzano in un duello ravvicinato. L’equipaggio neozelandese è di per se uno spettacolo vero da vedere: precisi alla perfezione in ogni manovra, assolutamente padroni della tecnica del foiling, che quel modo di volare sull’acqua sollevandosi sulle derive, capaci di cambiare direzione in poppa restando in volo trattando il pericoloso AC72 come una deriva da spiaggia. Per la prima volta in una regata vera una barca a tagliato la linea di partenza alla velocità di 40 nodi, che fino a pochi anni fa sarebbe stato di per se un record da raggiungere ma che è una velocità che sia Emirates Team New Zealand sia Luna Rossa hanno superato più volte. Dice Max Sirena lo skipper di Luna Rossa: “Ovviamente non sono contento del risultato, ma la nota positiva è che una grossa parte del distacco può essere attribuita a fattori facilmente migliorabili come le manovre e la tecnica di navigazione. Di sicuro dobbiamo migliorare anche le performance della barca, soprattutto di bolina, ma anche per questo abbiamo dei nuovi sviluppi tecnici che saranno pronti a breve. Come abbiamo sempre detto, i round robin fanno parte di un processo di apprendimento e di sviluppo tecnico per essere competitivi in semi finale”. La Louis Vuitton Cup, mentre il suo inventore Bruno Troublè è stato avvistato a Venezia in procinto di partire per la Croazia con la sua barca e gli amici (che la dice lunga di come vede e sente le regate), prevede in luglio altre tre regate “vere” tra Luna Rossa ed Emirates Team New Zealand: il 21, 23 e 28. Il terzo sfidante Artemis è sempre fermo in porto, alla prese con i collaudi e la il vuoto che si è aperto nel team dopo l’incidente e al momento stanno effettuando collaudi alla seconda barca che ha subito modifiche strutturali.
La Coppa America è ormai stritolata tra il brutto incidente di Artemis, l’obbligo di proseguire con un programma di regate “spettacolo” per soddisfare i contratti con gli sponsor, la mancanza di budget per mancanza di sponsor e disamore di Larry Ellison. Insomma, per quanto sia stato bravo al timone Russell Coutts da manager finora non ha saputo davvero assicurare alla Coppa lo spettacolo promesso. Capita spesso che gli atleti non siano in grado di mettere a frutto la fama e la stima e finiscano per ottenere risultati peggiori di avversari mediocri sul campo ma più strutturati nel mestiere di manager. Può darsi che sotto sotto Russel sia contento perchè salgono la possibilità di trattenere la Auld Mug a San Francisco ma in ogni caso sorprende mica poco, ad esempio, che dopo aver sbandierato i contenuti di spettacolo della nuova formula e tutte le camere on board per restituire l’azione fin nei dettagli non esista ancora un vero piano di produzione per la Louis Vuitton Cup che si avvia verso la sua ultima edizione dopo trent’anni di onorato servizio.
Il programma di Artemis prosegue con ritardo e con un team poco motivato. Il progettista Juan Kouyoumdjian è stato sollevato dall’incarico assieme ad Andrea Avaldi ingegnere strutturalista. Ci spiace per Andrea, che conosciamo come bravo professionista. Purtroppo in questi casi qualcuno deve pagare… Resta la perplessità di come sia possibile porre rimedio o modificare la struttura della seconda barca senza quelli che l’hanno disegnata. Il progettista armeno-argentino è sempre stato criticato per l’atmosfera che ha creato nel team di progettazione al punto che molti hanno lasciato il team prima del tempo e in tempi non sospetti. La barca, lo potete leggere piu sotto, sarà varata nei primi giorni di luglio e inizierà a navigare appena possibile, il panorama più realistico è che i round robin di luglio saranno solo un periodo di allenamento per Emirates Team New Zealand e Luna Rossa, che si giocheranno solo il diritto a essere capolista nelle semifinali cui Artemis accederà come terzo. La fase calda è dunque solo agosto, come ragionevole con sole tre barche in acqua. Tutta la fase precedente è un “obbligo” un po inutile ma necessario. E’ prevedibile una presa di posizione di ETNZ e Luna Rossa nelle prossime ore.
Ecco il comunicato ufficiale:
Artemis Racing ha reso noto di aver ripreso la preparazione in vista dell’America’s Cup. La partecipazione del team era stata messa in dubbio dopo il tragico sinistro che, lo scorso mese, è costato la vita a un membro del team. Lo sfidante svedese ha confermato di aver iniziato a preparare il secondo AC72, che verrà sottoposto a un’approfondita serie di test. Quando il team sarà soddisfatto dei risultati e la barca sarà pronta, Artemis Racing prenderà parte alla Louis Vuitton Cup, l’America’s Cup Challenger Series. “La decisione di Artemis Racing di proseguire la sua avventura sarà d’esempio per gli appassionati – ha detto Stephen Barclay, CEO dell’America’s Cup Event Authority – Sono sicuro che saranno supportati in modo massiccio dai fan”. “Stiamo lavorando contro il tempo per preparare la barca e il team a regatare – ha commentato Paul Cayard, CEO di Artemis Racing – Dobbiamo sca
lare una montagna, ma il nostro obiettivo è varare la barca a inizio luglio e cercare di regatare per la fine del mese“. “Sapere che Artemis Racing si sta preparando per essere sulla linea di partenza è una grande notizia – ha aggiunto Barclay – Non credo che saranno pronti per le prime regate, ma senza alcun dubbio la comunità dell’America’s Cup li supporterà in ogni modo possibile”. In seguito alla conferma giunta da Artemis Racing, il Regatta Director Iain Murray ha aggiornato il programma dell’evento, in modo da soddisfare una delle Raccomandazioni sulla Sicurezza introdotte dopo l’incidente, quella relativa alla riduzione da sette a cinque dei turni preliminari. Una disposizione voluta dai team, che chiedevano più tempo tra una regatta e l’altra per effettuare le manutenzioni. La Summer of Racing inizierà con la cerimonia di apertura del 4 luglio, seguita, il 5 luglio, da una regatta di flotta con il Defender e gli sfidanti. La Louis Vuitton Cup, l’America’s Cup Challenger Series, si aprirà il 7 luglio.
Andrew “Bart” Simpson era uno di quei ragazzoni che passano i cento chili, sereni e coscienti della loro forza. Con il timoniere Iain Percy, uno dei grandi talenti della vela inglese, aveva vinto due medaglie alle Olimpiadi, un oro e un argento. Erano cresciuti insieme fin da ragazzi, avevano navigato tanto insieme prima da avversari sui singoli e poi in Star e su tante barche tra cui + 39. Iain era stato anche il testimone di nozze di Andrew. Una storia di successo e talento, i due navigavano anche su Artemis, sfidante e Challenger of Record per la 34 esima edizione della Coppa America. Gli altri sfidanti che secondo il programma dovrebbero incontrarsi da luglio a fine agosto per conquistare il diritto alla sfida con il defender Oracle, lo ricordiamo, sono Emirates Team New Zealand e Luna Rossa.
Andrew è morto durante un banale allenamento nella baia di San Frnacisco. Intanto la dinamica dell’incidente: mentre la barca navigava a una velocità media, la traversa anteriore, ovvero l’elemento che collega i due scafi davanti all’ala, si è spezzata. A quel punto i due scafi hanno cominciato a muoversi in direzioni diverse, non più trattenuti tra loro, fino a quando si rotto tutto e ribaltato sotto la pressione dell’ala. Non è stato un errore di manovra, ne l’effetto delle condizioni del vento e del mare, è stato un cedimento della struttura a provocare l’incidente. Il vento era di 18 / 20 nodi, condizioni più leggere di quelle che l’anno scorso avevano portato al ribaltamento di Oracle, spettacolare ma senza vittime. Cadendo nel groviglio di pezzi Andrew Simpson è rimasto intrappolato sott’acqua per dieci quindi minuti assieme a Craig Monk, altro espertissimo marinaio che per fortuna si è ripreso, al contrario di Andrew, una volta riportato a terra. Dopo l’incidente di Oracle del 2012 i team si erano scambiati molte notizie, oltre a proteggere il corpo con abbigliamento adeguato, come il casco e il salvagente sul torace, avevano deciso di adottare una bomboletta personale con l’ossigeno proprio per questi casi. Purtroppo però la bomboletta si può usare se non si perde conoscenza, una volta portato a terra tutti i tentativi di rianimarlo sono stati inutili.
La barca era la prima costruita dal sindacato svedese condotto da Paul Cayard (che in California è di casa), una barca che fin dall’inizio aveva dichiarato le sue debolezze, passando dal mare al cantiere per essere rinforzata proprio nella traversa che ha ceduto. I suoi limiti venivano anche dal fatto che non era progettata per “volare” (foiling) sull’acqua come lo sono Emirates Team New Zealand e Luna Rossa che hanno una struttura totalmente diversa e un assetto in navigazione molto più adatto a questa condizione. Le due barche che si sono ribaltate, anche la prima Oracle, non lo erano ed erano state adattate a questa nuova condizione. L’incidente mortale, e nella vela finora questo rischio era tipico solo di prove impegnative attorno al mondo e con un numero di vittime veramente esiguo, apre la polemica sulla pericolosità di questi catamarani classe AC72 voluti da Russell Coutts per disputare la prossima edizione della Coppa, che è sei sempre stata un palcoscenico per le innovazioni, ma non era mai arrivata a tanto. Di certo la Coppa America, già menomata di molti abituali partecipanti per via della crisi economica ma anche per la scelta di questi catamarani costosi e difficili, non aveva bisogno di questo duro colpo di immagine. Fin dai primi commenti pochi hanno rilevato come la barca si sia banalmente rotta, quasi tutti hanno alzato la bandiera del pericolo o della velocità, peraltro ampiamente annunciati da molti skipper. Ma la velocità massima non è diversa da quella raggiunta dai monoscafi condotti anche da velisti soliari attorno al mondo o a molti trimarani oceanici.
Nelle premesse tutto doveva somigliare allo spettacolo della F1, solo che le auto sono arrivate a un livello di sicurezza dopo anni di esperienza ben diverso. Tuttavia, va ripetuto, siamo di fronte a una barca che fin dall’inizio aveva mostrato i suoi limiti: quella stessa traversa si era rotta alle prime uscite con gli scafi al traino e con ogni evidenza la struttura non è mai stata adeguata. Dicono che l’arroganza di Juan Kouyoumdjian che fin dall’inizio non abbia voluto ascoltare e guardare strutture diverse da quella che ha impostato abbia un peso in quello che è successo. In una recente intervista su Yacht Capital Giovanni Belgrano, uno dei progettisti di New Zealand, mette in evidenza come Artemis sia una barca pericolosa per la distribuzione di pesi e volumi oltre che per la struttura tradizionale, scelta per avere meno windage ma molto più fragile della X scelta per New Zealand e Luna Rossa.
Del resto un conto è trovarsi in solitario su una barca di diciotto metri in mezzo alle tempeste dei mari del sud e altro e navigare nella baia di San Francisco circondati da gommoni e barche appoggio. Qui non si sfida affatto la natura, non ci sono onde grandi come la barca. La sfida è stata soprattutto con il progetto e la costruzione della barca più che con tutto il resto. Qualcuno forse ricorda gli incidenti senza danni alle persone occorsi anche alle barche tradizionali: Australia One che va a fondo nella baia di San Diego in pochi secondi spezzata in due, senza danni alle persone, oppure nel 2000 Young America miracolosamente tenuta a galla dopo aver subito lo stesso incidente: cedimento della coperta. Cambieranno i regolamenti? Non si sa, di sicuro ci saranno riunioni tra i sindacati e con ogni probabilità gli americani tenteranno di proibire il soling per avere da questo incidente dei vantaggi nei confronti di Luna Rossa e New Zealand. Ad Artemis resta la seconda barca, quella buona, per affrontare le regate di selezione.
link da vedere:
http://www.guardian.co.uk/sport/2013/may/10/andrew-simpson-dies-yacht-capsizes
http://www.wired.com/autopia/2013/05/americas-cup-boat-crash
http://www.youtube.com/watch?v=99xnJSBRzkE
Questa intervista è stata realizzata qualche mese fa, ma diventa di estrema attualità in questi giorni…
Giovanni Belgrano è uno dei progettisti più esperti in Coppa America, è tra i fondatori di SP System, che tutti conoscono come azienda riferimento quando si deve costruire in composito avanzato, ha una forte esperienza in struttura, da tempo fa parte del dream team di designer messo insieme da Emirates Team New Zealand con cui ha collaborato anche Luna Rossa. L’accordo di condivisione del design con il team italiano si è concluso con il 31 dicembre, ora non è più possibile condividere dati e progetti. Luna Rossa resta con un ottimo primo scafo, frutto soprattutto del design neozelandese, svilupperà le sue derive e una nuova ala. New Zealand ha un secondo scafo, che ha dimostrato di andare subito forte. Abbiamo incontrato Belgrano nella base kiwi di Auckland poco dopo il varo di Luna Rossa, che nel 2003 era di Alinghi.
Giovanni, in acqua con gli AC 72 mostrano tre scuole di pensiero, avete scelto strade molto diverse soprattutto nella struttura.
“Per disegnare il nostro Ac 72 siamo partiti da Alinghi 41, che avevo disegnato io e che è stata la base per Alinghi 5, da li siamo andati nettamente avanti. La struttura è a X, la migliore per i carichi in gioco e per volare. L’architettura convenzionale di Oracle, con le due traverse, per loro sarà un notevole handicap, è troppo elastica per poter fare il foiling con precisione ad alta velocità, inoltre la loro seconda ala non ha le sofisticazioni della nostra, che è in grado di twistare, cambiare incidenza con il vento secondo la quota. Artemis con la seconda barca ha deciso di ripartire da zero scegliendo una via molto diversa dalla prima, quindi saranno in un ritardo estremo, dubito possano arrivare ad un livello competitivo in tempo. Il cambiamento di rotta significa che si rendono conto di aver sbagliato, la prima barca aveva una distribuzione dei volumi e soprattutto dei pesi molto diversa dalla nostra, che alza subito le prue”.
Come naviga la vostra seconda barca?
“Dopo 10 giorni di prove ed allenamenti nelle prime 3 settimane di navigazione va velocissima, più veloce di quel che ci aspettavamo. E’ senza problemi, come la prima. Cercavamo piccole evoluzioni e raffinamenti, ma abbiamo ottenuto una sorprendente rivoluzione delle prestazioni… e per questo stiamo lavorando come bestie, perché vogliamo trovarne ancora!”.
Quale sarà la innovazione tecnologica più grande di questa Coppa?
“Lavoriamo tanto con i sistemi di misura e di calcolo. Ci sono talmente tante parti della barca che sono sollecitate che bisogna capire come interagiscono una con l’altra. Io sono connesso alla barca e ogni secondo vedo come ogni cambiamento di regolazione sollecita la struttura. Usiamo sistemi di misura con gli strain gauges e fibre ottiche e costruiamo in casa i sistemi di calcolo e condizionamento dei dati. Controlliamo anche la precisione delle regolazioni, che sono fondamentali. Bastano variazioni di mezzo grado nell’angolazione dei foil per cambiare radicalmente velocità. Un altro settore di scoperta saranno le resine e le tecniche di costruzione”.
Queste barche possono davvero rompersi?
“Quando si alza uno scafo, che ci siano 5 o 25 nodi i carichi non cambiano perché si raggiunge in un attimo il massimo dei carichi statici. La poggiata è la cosa più pericolosa e critica: c’è un enorme aumento deli momento raddrizzante dinamico e dell’accelerazione che significa aumento di resistenza che è quello che fa peggio ai catamarani. Tutte le barche moderne fendono e si immergono, fanno wave piercing,significa che quando la prua si immerge non aumenta la sua resistenza e in realtà il suo volume e la forma piano piano la riportano fuori. Anche per questo la coperta è a V e il fondo piatto”.
Con cosa si vince?
“Se vogliamo dividere in percentuale darei il 40% all’ala, agli scafi 15%, alla piattaforma strutturale il 15%, per le appendici il 30%. L’ala insomma fa la parte del leone, è la cosa più importante. All’inizio della progettazione abbiamo usato 4 soluzioni diverse per la piattaforma e siamo andati avanti con tutte per molto tempo, scartando piano piano quello che non serviva. Usiamo moltissimo il CFD, abbiamo fatto un anno e mezzo di test con il 33 piedi e continuiamo a lavorare con gli spessori delle pinne. E’ un lavoro enorme, già un VOR 70 è molto più complesso di un vecchio Coppa America. Abbiamo usato la galleria del vendo di Auckland abbiamo messo subito un ala per capire il coefficiente di portanza e varie volte abbiamo provato le vele, le nostre sono molto più piccole delle altre”.
nella foto uno dei test effettuati in piscina dall’equipaggio di New Zealand per imparare a usare i sistemi di emergenza e le bombolette personali di ossigeno.
Conclusione con vittoria di Luna Rossa Swordfish nelle America’s Cup World Series di Napoli, unico evento europeo dedicato alla Coppa America prima delle regate che dal 4 luglio saranno a San Francisco prima con la Louis Vuitton Cup e poi con la Coppa America. E’ stata una settimana intensa, ogni giorno ha soffiato un ponentino ideale per le regate che hanno sempre rispettato il programma davanti a un pubblico unico: sui quattro chilometri di lungomare sono state stimate fino a 180 mila persone nei giorni di punta e un totale che supera il milione di persone. E ieri giocava il Napoli, una concorrenza in casa. Luna Rossa schierava due barche, Luna Rossa Swordfish con Francesco “Checco” Bruni al timone e Luna Rossa Piranha di Chris Draper. E’ andata meglio la prima, che ha disputato la finale del programma di match race contro Oracle Team Slingsby nome che ai più dice poco ma che è il campione olimpico della classe laser. Dopo una partenza formidabile di Bruni, che ha parcheggiato l’avversario vicino alla barca comitato, purtroppo si è fatto rimontare dagli americani che sono andati a vincere. Al bravo timoniere palermitano è andata meglio nella regata di flotta, dove gli americani sono partiti ancora una volta protagonisti ma hanno dovuto cedere più volte il comando: prima ai francesi di Team Energy con timoniere Yann Guichard e poi a Luna Rossa Swordfish che con la vittoria nell’ultima prova ha conquistato anche il primato nelle regate di flotta. Per il pubblico napoletano ogni mossa dei nostri eroi era un momento di gioia che si è conclusa con un plebiscito popolare. Racconta Bruni: “vincere la serie di flotta era l’unica maniera per dimenticare gli errori fatti nella finale di match race. La vittoria nella serie di flotta rappresenta un grande risultato per me. Avremmo potuto festeggiare una doppietta, ma non ce l’abbiamo fatta. Non ringrazierò mai abbastanza il mio equipaggio, composto da Paul Campbell-James, Max Sirena, Xabi Fernandez e Manuel Modena: hanno fatto tutti un grandissimo lavoro”. La soddisfazione per Bruni è doppia: lui sulla barca grande, quella della vera Coppa America che è arrivata ieri a San Francisco è tattico, mentre il timoniere titolare è Chris Draper che era su Piranha, arrivata quarta. Bruni è uno dei talenti italiani, ha saputo navigare bene alle Olimpiadi interpretando tre barche diverse: Laser, 49er e Star. Adesso dimostra di aver imparato anche i catamarani, che sono un mondo a parte. La settimana di Luna Rossa è stata difficile, una collisione con Emirates Team New Zealand durante le qualifiche di match race è costata un lavoro notturno intenso per danni a una prua e al supporto dello strallo di prua. Dopo qualche giorno di pausa tutto il team andrà a San Francisco per montare l’AC 72 e allestire la base. Il circuito delle World Series 2012 – 2013 che assegnava un trofeo particolare è stata vinta da Oracle Team. America’s Cup World Series Napoli –
Classifica finale serie di flotta: 1. Luna Rossa Swordfish (Francesco Bruni) – 80 punti 2. ORACLE TEAM USA (Tom Slingsby) – 80 3. Emirates Team New Zealand (Dean Barker) – 71 4. Luna Rossa Piranha (Chris Draper) – 70 5. J.P. Morgan BAR (Ben Ainslie) – 65 6. Energy Team (Yann Guichard) – 58 7. Artemis Racing White (Charlie Ekberg) – 40 8. HS Racing (R. Hagara/H.S. Steinacher) – 36 9. China Team (Mitch Booth) – 30
Questo articolo rivisto e riletto dopo qualche mese dai fatti e dopo tutto quello che è successo fa un certo effetto. Da qui in poi infatti saranno davvero pochi gli ospiti ammessi a bordo degli AC 72. Adesso mi chiedo se “dovevo” aver paura, idea che non mi ha sfiorato per un secondo nelle ore passate a bordo nel mitico Golfo di Hauraki. Forse perché ho visto la sicurezza dell’equipaggio kiwi ed ero seduto di fianco a Glenn Ashby. Sono convinto che quello che è successo a Andrew Simpson è stato anche, come dice Max Sirena, il frutto di una catena di eventi che prendono anche il nome di sfiga. Brad Butterworth afferma che una morte “in porto” è inaccettabile e ha ragione. Un conto è perdersi a Capo Horn, altro a centianaia di metri da riva, con attorno i gommoni.
Comunque questo è il resoconto a caldo di una giornata di ottobre passata a bordo di ETNZ AC 72.
E’ stato incredibile, una giornata da ricordare… a poche ore dal varo di Luna Rossa a Auckland mi sarei contentato di seguire New Zealand dal gommone, vederla navigare da fuori. Invece mi hanno invitato a bordo e per un regalo vero per cui è bastato un Sms di Warren Douglas, ufficio stampa ETNZ. Questa confidenza oltre tutto è stata il sintomo di un cambiamento radicale del grado di protezione dei segreti nel design preteso dai team: chi non ricorda i tempi delle barche protette dai teloni, cui era impossibile avvicinarsi pena essere malmenati da qualche energumeno. Invece è stato facile, certo i kiwi mi conoscono da anni, ma questo non sarebbe certo bastato, in altri tempi se non per essere invitato a una festa di fine regate. Ho già navigato con i silenziosi kiwi, un equipaggio tanto diverso in regata da ogni altro, a loro bastano poche parole a prendere le decisioni più gravi. Anzi sguardi: Barker muove la testa e tutti corrono per la virata. Questa grande nazionale della vela neozelandese pianta le radici nella lontana sfida di New Zealand per l’edizione ’87 a Perth Australia, la barca di plastica, passa attraverso la grande vittoria del ’95 con l’eroico Peter Blake. Molti di quei “ragazzi” hanno proseguito e vinto in ogni mare, intrecciando i loro destini. Se la sfida vincente ha provocato un vero caso nazionale, tesi di laurea comprese, la sonora sconfitta del 2003 è stata protagonista di interrogazioni parlamentari e adesso tutti rivogliono la Coppa nella sede del Royal New Zealand Yacht Squadron.
Il messaggino diceva “sail for you tomorrow at 8 30”, qualche minuto di attesa e siamo a bordo, stacchiamo dalla banchina: fin dall’inizio è tutto veloce, più veloce di qualsiasi altra barca: il traino (e ci sono molte miglia dal Viaduct Basin fino al golfo dove ci si allena) è a 25 nodi, quando il gommone rimorchiatore (quattro motori da 300 cavalli, plana mentre traina) ci lascia e l’equipaggio si prepara all’allenamento si naviga a 10 nodi spinti solo con dall’ala libera, cioè senza scotta che addirittura non è ancora passata nel bozzello: lo sarà in diretta sul winch su un bordo e con un paranco che smezza la corsa sull’altro. Mi pare tutto molto semplice, facile. Tra gli undici dell’equipaggio, ma siamo di più con i tecnici, alcuni mitici personaggi dello sport. Le prime prove sono di bolina, ala e fiocco piccolo, è facile vedere lo speedometro salire a 22, 24 nodi, non siamo in “foiling” e so bene che il boccone migliore deve ancora arrivare. Quando Dean Barker decide finalmente di issare il gennaker la barca ha un balzo. Quando pronuncia la parola magica “testing” New Zealand decolla sulla deriva, sul mitico Golfo di Hauraki soffiano 16 nodi di vento reale e in pochi secondi navighiamo a 33, 5 stabili sui tre punti. Per regolamento infatti può essere immersa una sola delle derive e i tre punti che sostengono in “volo” sono la deriva sottovento e i due timoni. In realtà quello sopravento ogni tanto esce e fischia, schiaffeggia l’acqua. Per questa uscita Emirates Team New Zealand monta due derive a sciabola che terminano con un’ala orizzontale, è l’unica barca progettata fin dall’inizio per volare. La deriva può essere mossa in diverse direzioni, immersa più o meno secondo le andature. Più tardi mi racconterà Giovanni Belgrano “non capisco le scelte degli altri e soprattutto di Oracle, a noi sembrava evidente che volare fosse la strada da percorrere, la nostra barca è pensata con i pesi a poppa per essere sempre stabile”. A bordo si registra ogni cosa: prestazioni e carichi, ogni giorno dei 30 a disposizione per questa prima fase che finisce in dicempre 2012, deve essere sfruttato al meglio.
Per salire a bordo mi hanno fatto indossare il salvagente da big jim, l’inguardabile casco, la bomboletta di ossigeno da usare in caso di ribaltamento, per fortuna si fidano del mio piede marino e posso circolare senza troppi confini. Si preoccupano quando, durante un cambio vele, metto il naso dentro la scassa della deriva: la pinna può muoversi in tutte le direzioni e viene usata in diverse configurazioni, non sempre alla massima immersione. Volare è una decisione dell’equipaggio e non solo il risultato della velocità che sale. Dopo la giornata Dalton confessa “siamo troppo stabili, si decolla troppo bene, secondo me vuol dire che c’è da limare, ridurre le superfici bagnate. Vedrai, Luna Rossa sarà di sicuro più veloce di noi ed è la prima volta che sono contento che un avversario sia più rapido di New Zealand: vuol dire che percorriamo la strada giusta e la nostra seconda barca sarà più forte”. Quando racconto il commento ai ragazzi di Luna Rossa ottengo solo qualche grugnito, il programma sviluppo velocità è da divulgare poco. Non ho avuto nessuna sensazione di pericolo.. si certo la velocità è tanta: il vento apparente a bordo supera agevolmente i 40 nodi, mi raccontano che non è raro leggere 60 nodi in testa d’albero… del resto basta fare due conti: 25 di reale più 45 di velocità… Pochi giorni dopo un collega neozelandese ha navigato a 44 nodi, con tanto vento in più: è sceso da New Zealand estasiato. Glen Ashby è categorico: “con una vela tradizionale sarebbe quasi impossibile gestire le manovre, faremmo a pezzi le stecche”. Per regolare l’ala si contenta di un piccolo winch con la scotta in diretta, il carico è di circa una tonnellata. Volete fare paragoni? Una vela tradizionale grande uguale potrebbe arrivare a un carico di scotta di 25/30 tonnellate . Questo è uno dei grandi vantaggi dell’ala rigida. L’ala di New Zealand ha un sistema complesso di regolazioni interne per modificare il twist. Sempre Ashby illumina “possiamo navigare con molto vento perché riusciamo a rendere negativa la parte alta, quindi a creare raddrizzamento e non sbandamento…”. E’ prevedibile che gli americani corrano ai ripari, non hanno la stessa possibilità, almeno nelle prime ali, non ci hanno creduto. L’ala è tutto, le altre vele sono semplici: il fiocco serve più per le manovre, che per la propulsione, il gennaker fa… ma di quello sappiamo tutto.
Differenze dal monoscafo? Sono stato su tante barche della Coppa: i J Class hanno un incedere maestoso, i 12 metri invece sembrano soffrire, gli Iacc sono complessi, tanta gente a bordo, piccole regolazioni, il timoniere è prigioniero del randista. Gli AC 45 sono nervosi, una sensazione di pericolo molto maggiore che sugli AC 72. Match racing? Mah… sarà una regata tanto diversa. Il canale del percorso è piuttosto stretto e prevedono sette virate per bolina e tre strambate per ogni poppa, bordi obbligati sul vento. Questa insomma sarà un’altra storia, tutta da scrivere e vedere. Una regata nuova, non sappiamo ancora se meglio o peggio. Diversa si. Del resto dal 1851 vince la barca più veloce e la ricerca è sempre stata in quella direzione. Perfino i J Class che adesso ci sembrano “barche d’epoca” sono stati disegnati con la collaborazione di ingegneri aeronautici.
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- Ma voi ce la fate ad aspettare fino al 2017? :)13 Novembre 2014 - 12:40 da Marika
- Ma guarda un pò che strano, i due Challenge of Record scelti...21 Luglio 2014 - 07:15 da Mario
- Per partecipare ancora alla Coppa non bisogna solo buttarcisi...30 Settembre 2013 - 22:11 da Antonio Vettese


