Nel giorno di riposo nelle basi chiuse si lavora alacremente: Luna Rossa ha sistemato la rottura alla pulegge della base albero mentre Emirates ha completato la sistemazione delle coperture aerodinamiche della piattaforma che si erano demolite nell’ingavonata. Ma a tener banco, o meglio far sorridere, è la contro protesta di Oracle nei confronti di Emirates TNZ e Luna Rossa che avrebbero “trepassed” (superato i confini) per sbirciare sugli AC 45 alla ricerca di prove delle loro malefatte. Questo succede poche ore dopo che la Giuria Internazionale, profondamente infastidita dalle continue pressioni a dimenticare il caso, ha emesso un comunicato piuttosto minaccioso che chiarisce che sta continuando a lavorare per arrivare a risolvere il caso segnalato dagli stazzatori. Ricordiamo che durante i controlli per la Red Bull Young America’s Cup gli stazzatori hanno rilevato in due delle tre barche messe a disposizione da Oracle delle irregolarità. In un primo momento sembrava che si trattasse di tutte e tre le barche Oracle (ovvero quella targata Coutts o Slingsby, quella di Spithill e quella di sir Ben Ainslie JP Morgan) poi pare per un errore di comunicazione tra stazzatori e Giuria una delle tre è stata considerata “pulita”, quella di Coutts. Dopo il primo comunicato della Giuria l’inglese Ben Ainslie, che ricordiamo è il velista più medagliato di tutti i tempi e ha una certa reputazione da difendere, ha subito scritto una nota in cui dichiarava di non essere a conoscenza delle modifiche e che stava usando la barca così come messa a disposizione da Oracle e che preferiva ritirarsi (postumo) da tutti gli eventi delle World Series. Poco dopo anche Russell Coutts dichiarava di ritirare tutte le barche dalle WS (entro pochi giorni devono anche restituire i premi) addossando la colpa a dei boat builder che di loro iniziativa avrebbero migliorato le barche. Difficile credere che lo shore team, per quando molto bravo, faccia tutto da solo e senza almeno il parere di un progettista. Inoltre sembra molto ingenuo che nessuno abbia rimesso le cose a posto prima della Red Bull Youth… davvero pensavano che i controlli fossero un tanto al metro? Coutts e Ainslie hanno talento da vendere e nella loro carriera di solito hanno vinto per bravura. Le loro carriere al momento sono tanto diverse: ancora velista l’inglese, manager con le idee non proprio chiare sul marketing sportivo il neozelandese. Resta che quello Oracle e i suoi AC 45 è un pasticciaccio brutto, perché quel che trapela è che il “tweaking” delle barche va ben oltre i due chili e mezzo di peso aggiunto alla base del bompresso, che servirebbe a tener giù le prue con bonaccia e choppy sea. Ci sarebbero anche water ballast, derive che si muovono per salire meglio di bolina: radio banchina non è affatto generosa, e questo sarebbe il vero motivo per chi la Giuria continua a indagare con forza e per cui starebbe per esplodere un caso Lance Armstrong anche a San Francisco, e pensare che gli americani sono così attaccati alla lealtà sportiva… Max Sirena ha usato la situazione per innervosire Oracle accusandoli apertamente di aver barato: “io non avrei mai ritirato le barche, da innocente, e io so cosa succede nella base e sulle barche fin nei minimi particolari, impossibile che Coutts non sappia”. Nel suo comunicato la Giuria ha affermato che sta procedendo in due direzioni: una indagine verso le persone secondo la regola 69 del regolamento internazionale (comportamento antisportivo) contro le persone e secondo la regola 60 del Protocollo, che prevede una sorta di vilipendio alla Coppa e questo contro il Team intero. Ora si aprono diverse prospettive: Ainslie in qualche modo si è discolpato, anche Coutts dichiarandosi troppo impegnato per sapere nei dettagli. Chi non lo ha fatto è James Spithill che con il suo equipaggio sembra al momento quello che rischia di più sul piano personale e della famigerata 69: lui e i suoi fedelissimi che hanno navigato su uno degli AC 45 modificati potrebbero essere sospesi per un tempo che gli potrebbe impedire di disputare la Coppa America, o potrebbero esserlo dopo, ma non sarebbe una gran punizione anche se una macchia nel curriculum. Con Spithill, già timoniere di Luna Rossa a Valencia e vincitore della Coppa nel 2010 con Bmw Oracle, a San Francisco 2012 hanno navigato Dirk de Ridder, John Kostecki, Jono MacBeth e Joe Newton. A dire il vero ragazzi, anche questi, che non avrebbero un gran bisogno di barare. Se le persone rischiano la sospensione, abituale in campo Isaf per infrazioni di questo tipo, il Team invece può rischiare cose diverse secondo Protocollo: una multa o più verosimilmente punti di penalizzazione. Come era successo a OneWorld accusato di aver avuto a disposizione i dati di un progetto di un team avversario. Allora la materia era confusa: Laurie Davidson era stato il progettista di New Zealand e ovviamente conservava, anche solo nella memoria (non quella del Pc ma quella professionale personale), dati del suo lavoro e delle sue idee, determinante per il team fu la confessione di un designer che confermò di aver avuto Pc vecchi a disposizione, non completamente formattati. Dichiarazioni sul filo del rasoio, come adesso. Un caso molto clamoroso di 69 (in realtà a quel tempo numero 75) fu quello di Thomas I-Punkt dell’armatore Thomas Friese all’Admiral’s Cup e alla one ton Cup dell’87, emerso dopo molti mesi di tentativi e indagini per confessione di Andrew Cape, uno dei membri dell’equipaggio. Il sistema era ingegnoso: c’è una pompa di sentina che poteva oltre che espellere acqua anche farla entrare. L’equipaggio riempiva dei serbatoio morbidi da 250 litri che venivano lasciati in alloggi sopravento per poi essere tagliati e buttati in mare prima dell’arrivo delle prove d’altura. Riepilogando cosa può succedere di concreto a Oracle? In realtà di tutto: dalla squalifica delle persone con il timoniere titolare James Spithill in testa alla multa in denaro o alla penalizzazione in punti. La materia, dicono, è concreta. Gli americani sperano finisca a tarallucci e vino, ma non pare sarà così.
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Luna Rossa ha pareggiato nella seconda regata della finale Louis Vuitton Cup, lo ha fatto su “avaria” dell’avversario, ma è un punto importante. Emirates Team New Zealand è rimasta ferma dopo tre lati senza la possibilità muovere le derive e regolare la barca per un problema all’idraulica, parte fondamentale su queste barche. I grinder infatti devono sempre lavorare per dare potenza per le regolazioni necessarie alle “daggerboard” che si muovono in tutte le direzioni per sostenere il foiling. Luna Rossa per la prima volta non ha visto le poppe dell’avversario e ha conquistato un punto che è storicamente importante: nelle regate che contano ovvero nella finale della Coppa del 2000 e nella finale Louis Vuitton Cup del 2007 non era mai riuscita a batterla. Questo punto insomma è anche una, per il momento piccola rivincita nei confronti di un team sempre amico ma anche sempre avversario. Luna Rossa è partita sapendo che la vittoria in questa finale sarebbe stata molto difficile, e i kiwi vogliono vincere in fretta, per avere più tempo per le modifiche alla barca in vista dell’incontro con Oracle. Grant Dalton vorrebbe chiudere la partita con Luna Rossa entro sabato, ma questo potrebbe anche non succedere. Queste incrinature alla quotidiana perfezione dell’equipaggio kiwi sembrano forse un segnale che la barca è rapidissima, oggi saliva di bolina con 10° di differenza con Luna Rossa, con una VMG di 3 nodi migliore, ma che forse questi risultati sono ottenuti rinunciando all’affidabilità.
Comincia sabato la finale della Louis Vuitton Cup tra Emirates Team New Zealand e Luna Rossa. Si corre la meglio di 13 regate, significa che diventa ufficialmente challenger della 34 edizione della America’s Cup chi per primo vince sette regate. Sono tante, è la prima volta che si applica una formula del genere, che prevede anche due regate al giorno. Il campo di San Francisco lo consente: il vento soffia costante in direzione e intensità ogni giorno, non è bizzarro e ballerino come è capitato il altri campi di regata. I difetti del grande gioco, a San Francisco, sono altri, in una Coppa america che dal 2000 a oggi sembra aver perso appeal a ogni edizione, invece di guadagnarlo, fino al punto che dal 2010 a oggi l’interesse è precipitato. Se non ci fosse questa Luna Rossa poi per l’Italia sarebbe il baratro.
Italia e Nuova Zelanda si incontrano e scontrano da tempo in Coppa, la prima furiosa lotta fu quella del 92 tra il Moro di Venezia e New Zealand, finita a favore degli italiani. Poi è toccato a Luna Rossa, che dal 2000 incrocia le derive (che ormai sono spade) con la barca degli All Black della vela. Tra i due si è costruito un rapporto di solida amicizia, che ha consentito a Patrizio Bertelli di “comprare” il progetto kiwi per allestire in ritardo la sua sfida. Purtroppo in questi anni Luna Rossa, negli incontri che contano, ha perso sonoramente: 0 a 5 nella America’s Cup del 2000, 0 a 5 nella finale Louis Vuitton Cup del 2007. I kiwi al momento sembrano ancora più forti di quelle esperienze passate,lucidi e determinati a vincere non solo contro i nostri eroi ma anche contro il defender Oracle. Come dice Max Sirena, skipper italiano: “bisogna portar via da San Francisco la Coppa, per tornare al mondo reale”. Il mondo reale è un mondo dove le regole sono più chiare, le barche costano meno, ma molto meno, dove si può sperare di vincere.
E come dice Dean Barker, skipper kiwi “fino al 2007 nella Coppa moderna abbiamo avuto tanti sfidanti, adesso siamo solo tre. Queste barche sono entusiasmanti e veloci, ma qualcosa bisogna fare”. Luna Rossa non ha i favori del pronostico, in questi giorni i neozelandesi si sono allenati poco ma hanno fatto vedere cose che agli umani appaiono perfino mostruose: picchi di velocità di 49 nodi, strambate sicure sempre in foiling e anche foiling di bolina. Sono di sicuro più forti, ma questo si sapeva: mentre nel 2007 lo scontro era fair, per usare una parola inglese, e la differenza si è giocata sulla stanchezza italiana dopo gli scontri con Oracle e alcuni particolari tecnici nella scelta dell’intensità di vento su cui sintonizzare la barca adesso le differenze sono innegabili.
La loro seconda barca somiglia molto a Luna Rossa ma ci sono quelle piccole determinanti differenze: le derive non sono in asse con i timoni ma più esterne di 15 centimetri in maniera da lasciare ai timoni acqua pulita, le derive hanno una superficie più piccola ma sostentano ugualmente la barca e orma la loro corda è scesa a 62 centimetri (dice radio banchina) contro i 72 di Luna Rossa. Tanto basta a sostenere le sette tonnellate di New Zealand in velocità.
Patrizio Bertelli è comunque soddisfatto dell’obiettivo raggiunto, che era la finale: “forse se non avessi dovuto seguire le Borse Internazionali averi capito per tempo che potevamo costruire due scafi e tenere la struttura vecchia per avvicinarci ai kiwi, siamo finiti un po in ritardo anche per non aver sfruttato bene il mese di trasferimento della barca dalla Nuova Zelanda”. Nell’hangar di Luna Rossa restano due derive rivoluzionarie, che non c’è stato il tempo di provare, lo faranno probabilmente dopo le regate per capire se e come potevano funzionare, come sono fatte a una prossima puntata. “Mai come in questa edizione conta la tecnologia – dice Barker – ogni particolare è frutto di sviluppo continuo”. Però poi i kiwi sono i più bravi a portare la barca “Una strambata fatta male ti costa 400 metri – dice Sirena – noi abbiamo imparato a farle abbastanza bene in foiling e ce ne riescono 12 su 13, ai kiwi riesce sempre, a Oracle per il momento ne riescono solo sette. Per imparare ci hanno imposto di montare una telecamera da cui si vede come muoviamo le derive e in ogni regata c’è in cabina regia della Tv un uomo di Oracle…. E’ inutile nascondere che i kiwi sono più veloci e che noi dobbiamo essere aggressivi in partenza per poter girare la prima boa al comando. La prima strambata è determinante e con Artemis abbiamo imparato”. La pressione sarà sul timoniere Chris Draper.
Ma il vero imbroglio di Oracle è quello con gli AC 45, in conferenza stampa Sirena non ha rinunciato a usare parole dure contro gli americani “hanno certamene imbrogliato e mi aspetto un verdetto appropriato dalla Giuria Internazionale, se hanno ritirato immediatamente le tre barche significa che sono colpevoli, io non lo avrei fatto di sicuro”. Cosa può succedere se la Giuria deciderà di applicare la regola 69? Anche squalifica del Team o delle persone coinvolte. Ma ci vorrà tempo per saperlo, ci sono almeno quaranta testimoni. In una caso simile One World è stato penalizzato di un punto, che alla fine è stato determinante. “E’ grave quello che hanno fatto allo sport, il nostro sport era pulito” aggiunge Sirena. E adesso somiglia ad altri pieni di scandali, dal doping di Lance Armstrong alle scomesse del calcio. Le prime due regate sono sabato, con inizio delle operazioni alle 13 locali. Forza Luna Rossa…
Patrizio Bertelli volato a San Francisco dopo la tragedia di Artemis ha convocato una conferenza stampa in cui ha spiegato il punto di vista di Luna Rossa e raccontato i passi fatti in questa settimana. In una situazione che non è molto chiara il team, riunito da Bertelli ha deciso come comportarsi nelle prossime settimane per aumentare la sicurezza dei velisti. L’equipaggio si è dichiarato fiducioso di poter gestire Luna Rossa e Luna Rossa non accetterà cambiamenti del Protocollo che non siano nella direzione della sicurezza ma che utilizzino la tragedia successa per modificare le regole di regata in maniera che favoriscano altri team. Luna Rossa non accetterà imposizioni dall’alto. Tra le righe si comprende come nelle riunioni che ci sono stati sia concreto il sospetto che qualcuno voglia limitare i vantaggi che Luna Rossa ed Emirates Team New Zealand hanno nel foiling nei confronti dei suoi avversari. Va ricordato che Oracle e Artemis hanno costruito le loro prime barche senza prevedere questa possibilità e tra incidenti e aggiornamenti hanno perso molte settimane di allenamento, mentre Luna Rossa e ETNZ hanno macinato senza incidenti giorni e giorni di allenamento: che le barche siano migliori? Di fatto Oracle e Artemis sono sindacati che hanno una sola barca valida e la distruzione della prima piattaforma Artemis, che si era comunque già dimostrata inservibile in regata,limita il team nella sperimentazione di ali e componenti.
Dopo la morte di Andrew Simpson è iniziata una settimana di silenzio assordante, in cui nessuno ha sentito il dovere di spiegare fatti semplici. In quello che è accaduto bisogna accettare anche un dose di fatalità negativa, la storia ci racconta tragedie con ogni tipo di barca ma anche storie di buona sorte, è andata bene a molti velisti con mari ben peggiori e senza assistenza. E’ ovvio fare il paragone con un solitario che naviga a 50 gradi di latitudine sud con pilota automatico planando a 30 nodi e più. C’è chi si è ribaltato e rimasto dentro la barca relitto in una bolla d’aria per giorni prima di essere salvato (uno per tutti il salvataggio di Tony Bullimore).
E’ incredibile che Russell Coutts si sia limitato a poche righe ufficiali e che alle riunioni dei team riprese dalle telecamere abbia mandato James Spithill, certo è il timoniere ma non è l’uomo che ha preso le decisioni che adesso pesano sulla Coppa. Anche Larry Ellison tace, anzi la sera della tragedia ha presentato un libro.
Da mesi questa, nei fatti fondamentali, è la Coppa del Silenzio, in cui chi la gestisce non sente alcun dovere nei confronti del pubblico che infatti è sempre più lontano e distratto. Non basta nominare una commissione di esperti (senza neanche un italiano… su tre soli sfidanti ci poteva stare). Costruita sullo spettacolo scegliendo barche estreme si fonda su un errore di fondo: pensare che siano la barche e non gli uomini a far la battaglia sul campo e quindi lo spettacolo, e pensare che lo stesso formibabile (bisogna riconoscerlo) sistema di ripresa on board non possa rendere spettacolari barche più sicure e in fondo adatte al match race. Se non ci piacciono le sportellate tra Luna Rossa e America One del 2000 ci sono quelle in Australia di Dennis Conner con i 12 metri SI. Eppure le regate di Napoli sono state una grande lezione di come il pubblico possa arricchire l’evento e anzi sia fondamentale, è stato un pubblico incredibili e unico nella vela, ci sono pochi posti e poche regate al mondo dove il lungo mare si riempie di 150 mila spettatori: il Solent per la Whitbread (lacrimuccia per un patrimonio perduto a favore del marketing moderno), Auckland, Sydney, la Bretagna. Certo, la vela è uno sport difficile da raccontare, da spiegare, ma ci si può riuscire se si esce dalla dimensione “lifestyle” per entrare in quella “sport”: operazione difficile ma del tutto possibile, abbiamo digerito regole e spettacolo ben più complessi.
La disgrazia è stata un colpo feroce in uno sport che vive ancora di snobismo e che crede che la distanza sia un valore. Non è così, e se la vela è uno sport isolato, che fatica a trovare una dimensione professionale e autentica e quindi sponsor tra i motivi si sono anche proprio in questo modo di gestire il pubblico pensando che non sia un essere intelligente, che ragiona. La folla, per quanto leggera, di solito sa riconoscere i suoi campioni, chi vince bene e chi perde con dignità.
http://www.youtube.com/watch?v=xyunIljH63I&feature=youtu.be
Questo articolo rivisto e riletto dopo qualche mese dai fatti e dopo tutto quello che è successo fa un certo effetto. Da qui in poi infatti saranno davvero pochi gli ospiti ammessi a bordo degli AC 72. Adesso mi chiedo se “dovevo” aver paura, idea che non mi ha sfiorato per un secondo nelle ore passate a bordo nel mitico Golfo di Hauraki. Forse perché ho visto la sicurezza dell’equipaggio kiwi ed ero seduto di fianco a Glenn Ashby. Sono convinto che quello che è successo a Andrew Simpson è stato anche, come dice Max Sirena, il frutto di una catena di eventi che prendono anche il nome di sfiga. Brad Butterworth afferma che una morte “in porto” è inaccettabile e ha ragione. Un conto è perdersi a Capo Horn, altro a centianaia di metri da riva, con attorno i gommoni.
Comunque questo è il resoconto a caldo di una giornata di ottobre passata a bordo di ETNZ AC 72.
E’ stato incredibile, una giornata da ricordare… a poche ore dal varo di Luna Rossa a Auckland mi sarei contentato di seguire New Zealand dal gommone, vederla navigare da fuori. Invece mi hanno invitato a bordo e per un regalo vero per cui è bastato un Sms di Warren Douglas, ufficio stampa ETNZ. Questa confidenza oltre tutto è stata il sintomo di un cambiamento radicale del grado di protezione dei segreti nel design preteso dai team: chi non ricorda i tempi delle barche protette dai teloni, cui era impossibile avvicinarsi pena essere malmenati da qualche energumeno. Invece è stato facile, certo i kiwi mi conoscono da anni, ma questo non sarebbe certo bastato, in altri tempi se non per essere invitato a una festa di fine regate. Ho già navigato con i silenziosi kiwi, un equipaggio tanto diverso in regata da ogni altro, a loro bastano poche parole a prendere le decisioni più gravi. Anzi sguardi: Barker muove la testa e tutti corrono per la virata. Questa grande nazionale della vela neozelandese pianta le radici nella lontana sfida di New Zealand per l’edizione ’87 a Perth Australia, la barca di plastica, passa attraverso la grande vittoria del ’95 con l’eroico Peter Blake. Molti di quei “ragazzi” hanno proseguito e vinto in ogni mare, intrecciando i loro destini. Se la sfida vincente ha provocato un vero caso nazionale, tesi di laurea comprese, la sonora sconfitta del 2003 è stata protagonista di interrogazioni parlamentari e adesso tutti rivogliono la Coppa nella sede del Royal New Zealand Yacht Squadron.
Il messaggino diceva “sail for you tomorrow at 8 30”, qualche minuto di attesa e siamo a bordo, stacchiamo dalla banchina: fin dall’inizio è tutto veloce, più veloce di qualsiasi altra barca: il traino (e ci sono molte miglia dal Viaduct Basin fino al golfo dove ci si allena) è a 25 nodi, quando il gommone rimorchiatore (quattro motori da 300 cavalli, plana mentre traina) ci lascia e l’equipaggio si prepara all’allenamento si naviga a 10 nodi spinti solo con dall’ala libera, cioè senza scotta che addirittura non è ancora passata nel bozzello: lo sarà in diretta sul winch su un bordo e con un paranco che smezza la corsa sull’altro. Mi pare tutto molto semplice, facile. Tra gli undici dell’equipaggio, ma siamo di più con i tecnici, alcuni mitici personaggi dello sport. Le prime prove sono di bolina, ala e fiocco piccolo, è facile vedere lo speedometro salire a 22, 24 nodi, non siamo in “foiling” e so bene che il boccone migliore deve ancora arrivare. Quando Dean Barker decide finalmente di issare il gennaker la barca ha un balzo. Quando pronuncia la parola magica “testing” New Zealand decolla sulla deriva, sul mitico Golfo di Hauraki soffiano 16 nodi di vento reale e in pochi secondi navighiamo a 33, 5 stabili sui tre punti. Per regolamento infatti può essere immersa una sola delle derive e i tre punti che sostengono in “volo” sono la deriva sottovento e i due timoni. In realtà quello sopravento ogni tanto esce e fischia, schiaffeggia l’acqua. Per questa uscita Emirates Team New Zealand monta due derive a sciabola che terminano con un’ala orizzontale, è l’unica barca progettata fin dall’inizio per volare. La deriva può essere mossa in diverse direzioni, immersa più o meno secondo le andature. Più tardi mi racconterà Giovanni Belgrano “non capisco le scelte degli altri e soprattutto di Oracle, a noi sembrava evidente che volare fosse la strada da percorrere, la nostra barca è pensata con i pesi a poppa per essere sempre stabile”. A bordo si registra ogni cosa: prestazioni e carichi, ogni giorno dei 30 a disposizione per questa prima fase che finisce in dicempre 2012, deve essere sfruttato al meglio.
Per salire a bordo mi hanno fatto indossare il salvagente da big jim, l’inguardabile casco, la bomboletta di ossigeno da usare in caso di ribaltamento, per fortuna si fidano del mio piede marino e posso circolare senza troppi confini. Si preoccupano quando, durante un cambio vele, metto il naso dentro la scassa della deriva: la pinna può muoversi in tutte le direzioni e viene usata in diverse configurazioni, non sempre alla massima immersione. Volare è una decisione dell’equipaggio e non solo il risultato della velocità che sale. Dopo la giornata Dalton confessa “siamo troppo stabili, si decolla troppo bene, secondo me vuol dire che c’è da limare, ridurre le superfici bagnate. Vedrai, Luna Rossa sarà di sicuro più veloce di noi ed è la prima volta che sono contento che un avversario sia più rapido di New Zealand: vuol dire che percorriamo la strada giusta e la nostra seconda barca sarà più forte”. Quando racconto il commento ai ragazzi di Luna Rossa ottengo solo qualche grugnito, il programma sviluppo velocità è da divulgare poco. Non ho avuto nessuna sensazione di pericolo.. si certo la velocità è tanta: il vento apparente a bordo supera agevolmente i 40 nodi, mi raccontano che non è raro leggere 60 nodi in testa d’albero… del resto basta fare due conti: 25 di reale più 45 di velocità… Pochi giorni dopo un collega neozelandese ha navigato a 44 nodi, con tanto vento in più: è sceso da New Zealand estasiato. Glen Ashby è categorico: “con una vela tradizionale sarebbe quasi impossibile gestire le manovre, faremmo a pezzi le stecche”. Per regolare l’ala si contenta di un piccolo winch con la scotta in diretta, il carico è di circa una tonnellata. Volete fare paragoni? Una vela tradizionale grande uguale potrebbe arrivare a un carico di scotta di 25/30 tonnellate . Questo è uno dei grandi vantaggi dell’ala rigida. L’ala di New Zealand ha un sistema complesso di regolazioni interne per modificare il twist. Sempre Ashby illumina “possiamo navigare con molto vento perché riusciamo a rendere negativa la parte alta, quindi a creare raddrizzamento e non sbandamento…”. E’ prevedibile che gli americani corrano ai ripari, non hanno la stessa possibilità, almeno nelle prime ali, non ci hanno creduto. L’ala è tutto, le altre vele sono semplici: il fiocco serve più per le manovre, che per la propulsione, il gennaker fa… ma di quello sappiamo tutto.
Differenze dal monoscafo? Sono stato su tante barche della Coppa: i J Class hanno un incedere maestoso, i 12 metri invece sembrano soffrire, gli Iacc sono complessi, tanta gente a bordo, piccole regolazioni, il timoniere è prigioniero del randista. Gli AC 45 sono nervosi, una sensazione di pericolo molto maggiore che sugli AC 72. Match racing? Mah… sarà una regata tanto diversa. Il canale del percorso è piuttosto stretto e prevedono sette virate per bolina e tre strambate per ogni poppa, bordi obbligati sul vento. Questa insomma sarà un’altra storia, tutta da scrivere e vedere. Una regata nuova, non sappiamo ancora se meglio o peggio. Diversa si. Del resto dal 1851 vince la barca più veloce e la ricerca è sempre stata in quella direzione. Perfino i J Class che adesso ci sembrano “barche d’epoca” sono stati disegnati con la collaborazione di ingegneri aeronautici.
Claude Luis Navier è nato nel 1785, George Gabriel Stokes nel 1816. Perché citiamo questi due scienziati in un articolo dedicato a Luna Rossa espressione di sport e tecnica del terzo millennio? Sono i padri della dinamica dei fluidi: le equazioni di Navier Stokes infatti sono alla base di ogni ricerca predittiva che si fa in campo navale e non, un sistema complesso che ha sempre trovato l’ostacolo della potenza di calcolo per essere completamente efficace. Il progresso dei moderni computer ha amplificato la velocità e l‘affidabilità al punto che ormai la sperimentazione in vasca navale, o galleria del vento, per molto tempo ritenuta fondamentale alla riuscita di un progetto, passa in secondo piano. In termini contemporanei si parla di CFD: Computational Fluid Dynamics. Nelle segrete stanze dei progettisti di Luna Rossa, come di tutte le altre barche della Coppa America, un problema da risolvere, anzi spesso “il” problema è come riuscire a verificare rapidamente intuizioni e percorsi dei designer e velisti in un processo bidirezionale che porta al miglioramento della velocità del manufatto barca. Per simulare un catamarano che naviga veloce il dominio fluido è scomposto in decine di milioni di elementi che vengono digeriti da un “cluster” dove possono lavorare simultaneamente 22 nodi da 12 processori l’uno. Il calcolo è un percorso iterativo “what – if” che prevede piccoli cambiamenti delle forme e delle situazioni: maggiore è la potenza di calcolo più grande il numero di simulazioni possibili e maggiore anche l’affidabilità. Luna Rossa ha acquistato il progetto da Emirates Team New Zealand, ma questo è solo un punto di partenza per lo sviluppo successivo. I catamarani della classe AC 72 hanno due elementi dove questa ricerca è fondamentale: la vela alare e le derive. C’è chi dice che saranno proprio le derive a fare la differenza perché queste barche si comporteranno come aliscafi in alcune condizioni di navigazione. Per Luna Rossa il responsabile di questo settore è l’ingegnere aerospaziale e nautico (due lauree) Giorgio Provinciali. “Abbiamo scelto di non comprare le macchine ma di appoggiarci a centri di calcolo – dice – non è solo un problema economico ma di aggiornamento degli strumenti. Usiamo il programma FineMarine di Numeca, con una serie di centri di calcolo in Italia. Collaborano con noi per il lavoro di routine Cilea di Milano Segrate, un consorzio italiano di supercalcolo che è stato recentemente raggruppato con Cineca di Bologna e Caspur di Roma. Sono società senza scopo di lucro e hanno un costo per le ore di calcolo molto buono. Anche gli americani di Oracle, che hanno confermato nel loro staff Mario Caponetto, si appoggiano a Cineca. Per le simulazioni sperimentali abbiamo stretto un accordo con il “Tecnopolo della Nautica di Ravenna”. Un altro istituto coinvolto è la vasca navale di Roma Insean, che in questo caso si occupa di fluidodinamica numerica molto competente su cavitazione, fenomeno che riguarda eliche e derive. Il Politecnico di Milano ha un gruppo di lavoro diretto da Fabio Fossati coinvolto nella previsione delle prestazioni del sistema completo. I campi di ricerca non si fermano qui, c’è da esplorare l’interazione tra struttura e fluido, l’impatto della deformabilità delle derive sulle prestazioni, la resistenza in navigazione delle strutture che sono monitorate da centinaia di punti di misurazione con strain gauges o fibre ottiche, una operazione necessaria soprattutto nella fase iniziale. All’ala lavorano due guru della vela, Michael Richelsen cui si deve gran parte dei programmi di modellazione delle vele, e Mike Allan Schreiber (ha vinto 4 volte) con modalità simili per quanto riguarda il calcolo, usano i servizi della Wolfson Unit e della Southampton University.
Lo scriviamo tutti: l’ America’s Cup è una sfida. Una sfida non solo nei confronti di uno o più avversari, molto spesso lo è con e contro se stessi, perchè la battaglia non è solo battere l’avversario ma farlo con la propria ricetta. Le cartoline che raccontano la Coppa America sono tante: Sir Thomas Lipton in posa al timone del suo Shamrock, Harold Vanderbilt e consorte su Ranger, sir Thomas Murdoc Sopwith su Endeavour. Per arrivare a tempi più recenti, il chiassoso petroliere Bill Ingraham Koch (4 miliardi di dollari di patrimonio) o il riservato Larry Ellison (41 miliardi di patrimonio), amante della cultura giapponese e del Mediterraneo, attuale padre padrone della Coppa, l’uomo che l’ha portata a bordo dei catamarani battendo Alinghi di Ernesto Bertarelli, il più giovane, l’uomo che è arrivato al successo subito nel 2003 con una barca invincibile. Gli italiani sono Raul Gardini che accarezza il leone di Venezia dicendo “che bel gattone” , come lo avesse addomesticato. Patrizio Bertelli che sceglie l’eleganza di una sottile linea rossa per decorare le sue barche, una linea che nasconde anche un confine impalpabile tra affari e sport. Quasi tutti, visti a bordo hanno una sincera e infinita passione per la barca, uno straordinario occhio per gli affari, la voglia di vincere usando la propria ricetta di vita. E’ mitica la sceneggiata del barone Marcel Bich che nella nebbia di Newport ha tolto il timone ai professionisti per perdersi lontano dalle boe. Eppure proprio Bich è uno di quelli che ha avuto belle intuizioni: ha costretto gli americani del New York Yacht Club ad accettare regate di selezione tra gli sfidanti che poi con la collaborazione del suo timoniere Bruno Troublè è diventata la Louis Vuitton Cup. Trouble, non a caso nato a Versailles, è poi diventato il cardinale del gran gioco almeno fino alla prossima edizione della Louis Vuitton Cup, probabilmente l’ultima per il cambio di vertice che non ama la vela.
C’è una cartolina che, più di ogni altra, racconta cosa sia la Coppa America per l’Italia, ritrae John Kennedy e Jacqueline Lee Bouvier assieme a Gianni Agnelli, Marella Caracciolo e Beppe Croce, spettatori delle regate a Newport. Era il ‘62, la barca è Manitou di proprietà della US Coast Guard, detta anche la Casa Bianca galleggiante, e dove ne son successe un po’ di tutti i colori, non solo dal punto di vista diplomatico. Gianni Agnelli ama la vela, cui regalerà quel monumento alla modernità galleggiante che si chiama Stealth, ma vuole anche promuovere la Fiat negli Stati Uniti: la raccomandazione del Presidente è buona ma non basta. Gli americani fingono anche di mostrare i disegni della barca vincente al progettista Carcano, un geniaccio innovatore. Agnelli sarà in panchina per altri venti anni prima di poter lanciare Azzurra, ma uscirà con un successo personale: una breve vacanza a Ravello con Jacqueline. L’avvocato unisce ragione e passione, come ha fatto prima di lui Lipton e come faranno altri, arriva al mercato americano con i rapporti esclusivi che si stabiliscono in barca.
Patrizio Bertelli ha lanciato la sua quarta sfida. Il toscanaccio (nel senso buono) è un puro irascibile (memorabili le sue strapazzate al team) ama la barca e in casa ha una libreria che testimonia la sua ossessione per la Coppa. E’ l’unico italiano entrato nella Hall of Fame, non vuole confessare i benefici finanziari ottenuti con la Coppa. Ma esistono, come la “simpatica plusvalenza” per alcuni affarucci fatti con LVMH e una immagine internazionale che altri sport non avrebbero promosso allo stesso modo. Sono pochi quelli che hanno fatto come lui: Lipton, il droghiere del re come lo chiamavano i nobili invidiosi della sua amicizia è arrivato alla quinta sfida ottuagenario, il barone Bich con i suoi France e l’australiano Alan Bond, autore della più grande bancarotta della storia dell’Australia. Bond, di questi serial challenger è l’unico che ha conquistato la Coppa, nell’83 con Australia II, una macchina da guerra condotta da John Bertrand che inginocchia Dennis Conner. Bond nell’87 compra gli Iris di Van Gogh da Sotheby’s di New York per 53 milioni 900 mila dollari, allora circa 70 miliardi, con un prestito della stessa casa d’aste. Il crac in Borsa quasi simultaneo lo mette in ginocchio e finirà anche in prigione per la garibaldina gestione di un altro quadro famoso.
Nella Coppa ci sono anche gli ego senza portafoglio, i grandi condottieri, i timonieri. In testa a tutti lo scozzese Charlie Barr, è il comandante dei primi del novecento, vince e rivince la Coppa timonando le barche americane, si lancia in Atlantico per il record di traversata con lo schooner Atlantic che conquista perché nella tempesta non può ammainare le vele. Ted Turner, detto “captain outrageous” per la sua propensione a insultare gli avversari, dopo la vittoria inventa la CNN. Dennis Conner è l’uomo della modernità, cambia il metodo e la preparazione diventa professionale e scientifica, inventa con John Marshall la “two boat campaing”, che serve a mettere a punto le barche in maniera perfetta . La leggenda dice che nell’83 abbia voluto perdere apposta in quel bordo di poppa contro Australia II, per togliere il gioiello di Garrard dalla sua bacheca del New York Yacht Club, dove era conservato da 132 anni, e dimostrare che era in grado di riportarlo a casa sua a San Diego, come del resto ha fatto.
Peter Blake è il neozelandese che vince nel 95 ipotecando la casa per tenere vivo il sindacato dove Russell Coutts sta crescendo: finirà assassinato dai ratos de agua nel Rio delle Amazzoni.
Coutts è il suo pupillo, il ragazzo che ha cresciuto, che abbandona il maestro per vincere con Alinghi nell’2003 e poi con Ellison nel 2010. Russell è l’uomo dei record, più bravo di Barr. E’ un ingegnere opportunista, con un talento ineguagliabile per il timone e una pericolosa passione per le donne. Ma adesso ha portato la Coppa su un territorio che molti non comprendono: ci sarà lo spettacolo della velcotià, ma non ci sono gli sfidanti che fanno grande il palcoscenico.
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