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Il lancio del primo Sense aveva lasciato il segno: una forte novità per la distribuzione degli interni, per l’abitabilità del pozzetto, un ibrido (se così si può dire) che strizzava l’occhio a un mercato nuovo, abituato ai volumi delle barche a motore. Il Sense 55 di queste pagine interpreta in una dimensione più grande le medesime vocazioni. Una barca con tanto spazio, tanta luce, tanta aria. Facile da usare in molte situazioni che sa interpretare diversi ruoli: in rada la gioia di un dialogo senza ostacoli con il mare grazie al grande pozzetto, la possibilità di alzare le panche e circolare senza problemi e oggetti da scavalcare; in navigazione prestazioni da ammiraglia con una carena dotata di due pale del timone, un buon raddrizzamento e un piano velico generoso; in porto agilità di manovra con il sistema di controllo Dock & Go con joy stick realizzato in collaborazione con ZF che si basa su un piede che gira in tutte le direzioni che interagisce con un bow thruster. Negli interni si ritrova la volontà di avere una grande zona living vicina al pozzetto, cui si accede con pochi gradini comodi, grazie anche alle finestre che si aprono verso poppa da dentro ci si sente quasi in un ambiente unico, in continuo dialogo con l’esterno. Un passo avanti nelle dimensioni degli interni: non solo cabine grandi, anche porte, passaggi, di una dimensione sconosciuta per le barche a vela tradizionali. Le due cabine doppie di centro barca sono quanto di meno claustrofobico si sia visto su una barca di questa taglia, in questa posizione infatti lo spazio sopra il letto non è limitato dal pozzetto, come quando le due gemelle sono a poppa e ci si trova a muoversi e guardare sotto un cielino da un paio di metri. Le porte sono enormi e scorrevoli, lasciandole aperte si realizza quasi un open space, pieno di aria e di luce. Ogni cabina ha il suo bagno, la armatoriale di prua, la più tradizionale, lo ha diviso in locale Wc e doccia. La coperta e il piano velico dichiarano attenzione alla navigazione anche impegnativa. Lo racconta ad esempio la rotaia per la trinchetta auto virante abbinata ai punti di scotta regolabili in maniera tradizionale per il genoa, oltre al bompresso per il gennaker o code zero. Il triangolo di prua è largo, ma anche la randa è importante e full battened. In navigazione la carena, larga e con un dislocamento di circa 18 tonnellate, ha un incedere autorevole. Il lavoro dei designer Berret Racopeau ha portato a forme che privilegiano le andature portanti ma che anche contromare conserva un buon comfort. Di solito queste barche molto larghe finiscono per essere molto piatte e quindi piuttosto dure nell’impatto con l’onda. Da una parte il peso, dall’altra le forme aiutano. Le prestazioni sono quelle di una ottima barca a vela, chi pensa ai passaggi atlantici, alle lunghe navigazioni con il vento al giardinetto può pensare al Sense 55 come una scelta azzeccata. Grazie alle due pale non si perde mai il controllo e timonare è facile oltre che comodo visto come sono realizzate le sedute del timoniere, delle vere poltrone. A motore, con 120 cavalli a disposizione, si possono raggiungere importanti velocità, con una crociera di otto nodi e anche qualcosa di più, che significa, e questa volta pensiamo alle bonacce mediterranee, traversate rapide.

 

Un tempo, mica tanto lontano, i progettisti pensavano solo a riempire come possibile una carena “perfetta”, un’idea che non ha abbandonato alcuni progettisti molto innamorati delle loro forme e troppo sicuri che per le prestazioni non si debba scendere a compromessi. Mah.. il tempo passa per tutti e sono arrivati nuovi strumenti per il progetto e alcuni cantieri furbi hanno capito che era del tutto inutile torturare chi dormiva in dinette con una landa che passava in mezzo al letto, da circondare con le gambe. Qualcuno insomma ha cominciato a capire che spostando un poco il letto si riusciva a mantenere un livello di comfort più umano e la barca non cambiava, oppure che quella landa poteva tranquillamente essere ancorata in un’altra posizione. Sono stati decisivi programmi di modellazione a tre dimensioni che erano impossibili da concepire ai tempi dei piombi e le listelle di pero e dove stava tutto alla sensibilità del progettista “sentire” il vlume. Ma quella nuova è anche una filosofia che cambia leggermente il punto di vista: la barca vista come progetto totale, non come carena riempita. Del resto le automobili sono fatte così: si parte da un abitacolo con misure “ergonomiche” (e questa parola è sempre usata a sproposito nella nautica, tanto che andrebbe abolita) una cellula vitale che definisce la classe della vettura a cui si aggiunge il resto. Le auto sono cresciute di dimensione, per inciso, a parità di cellula per rispettare le norme anti crash e quindi migliorare il livello di protezione. Il modo distratto di gestire gli interni delle barche non è mica abolito del tutto, capita di salire a bordo di novità dove si capisce che l’attenzione dedicata allo spazio è minore di quella dedicata al piano velico. Eppure quattro o sei letti pesano uguale, che siano fatti bene o male, un frigorifero pure, un tavolo da carteggio anche. Spesso il risultato non è una questione di peso, di costo, ma solo di attenzione e volontà. In questa trappola non è caduto il grupo Beneteau, che sta producendo una innovazione tremenda. Il pianetto è quello del nuovo Sun Odyssey 509, una bella macchina da crociera. Ma più si sale in dimensione peggio è, perché alle necessità veliche si aggiungono quelle stilistiche secondo una bizzarra visione del design minimale, nato per togliere la inutile decorazione e premiare la funzione e finito per essere decorazione talvolta senza funzione. Povero Van der Rohe: “the less is more…”. Ma questa è la storia del Post Moderno che vi lasciamo scoprire. Facciamo un esempio? La cabina marinaio… chi possiede un sessanta piedi ha per forza un marinaio: ricco, anche se sa navigare, non vuole lavare il ponte. Il marinaio si contenta, ma perchè su un Beneteau 50 da noleggio si quindici anni fa il problema era risolto con lusso di spazio e su un bestione di oggi non si riesce e si va alla ricerca di alibi, giustificazioni sul fatto che non si fa più grande crociera? E’ strano come alcune esperienze forti di layout di interni, come il progresso di qualche anno fa nell’uso del volume si sia un poco perso per strada. Le cause? Mah da una parte forse l’innamoramento da parte dei cantieri verso una generazione di progettisti troppo giovani usciti dalle scuole di design che hanno per il momento portato innovazione solo nel colore e negli spigoli inutili. Poi forse la atavica necessità di riscoprire l’ovvio.