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La Coppa America non si può disputare in Svizzera in acque chiuse e quindi Ernesto Bertarelli deve scegliere una località sul mare. La scelta cade su Valencia, una città in grande espansione e trasformazione dove si sta completando un quartiere culturale disegnato dall’architetto Calatrava. Il team di Alinghi prepara una edizione storica, per numero di partecipanti, gli sfidanti sono undici, e spettacolo. E’ la prima volta in Mediterraneo e sarà anche l’ultima edizione con le barche della classe ACC (che ha cambiato nome dopo IACC) rese più potenti con l’aumento del dislocamento a 25 tonnellate. Tre sfidanti sono italiani: Luna Rossa con Francesco de Angelis skipper e James Spithill timoniere, Mascalzone Latino con Vasco Vascotto e Flavio Favini e +39 con un equipaggio molto inglese con Iain Percy e Ian Walker.  Poi ci sono il ricostruito Team New Zealand con Grant Dalton e Dean Barker, BMW Oracle con Chris Dickson,  Shosholoza dal Sud Africa con Mark Sadler, la francese Areva con Thierry Pepponnet, la svedese Victory Challenge con Magnus Holmberg, Desafìo Espanol con al timone Karol Jablonsky e nel team Paul Cayard, United Internet Team Germany con  Jesper Bank, China Team con Luc Gellusseau e Pierre Mas.
Il vecchio porto viene popolato da tutte le basi dei team, vicine tra loro: il pubblico può camminare tra le basi che pur conservando la loro privacy lasciavano intendere il lavoro che vive all’interno.
Luna Rossa è protagonista fino alla finale Louis Vuitton Cup contro Team New Zealand, dove accede dopo aver letteralmente umiliato BMW Oracle dove Chris Dickson ha un cedimento totale simile a quello subito a Perth, altra edizione storica, contro Dennis Conner su Stars & Stripes. Mascalzone Latino è una barca molto veloce, disegnata partendo da numerosi suggerimenti di Russell Coutts sbarcato da Alinghi, ma non riesce a esprimere tutto il suo potenziale e manca la qualifica alle semifinali. +39 vive di una cronica mancanza di fondi, rallentata da una rottura all’albero in una regata di flotta che precede le selezioni.
Luna Rossa viene fermata da Team New Zealand nella finale sfidanti: i kiwi sono determinati a prendersi la rivincita dopo la sconfitta del 2003 e hanno lavorato bene. Prima di affrontare la barca italiana scelgono un assetto da bonaccia, con un bulbo particolarmente lungo (6 metri) e quindi di diametro molto piccolo, inoltre I nostri sono più stanchi, la battaglia contro BMW Oracle è stata intensa mentre i kiwi avevano scelto come avversario il più morbido Desafio.
Il match della 32esima Coppa America inizia con valori in campo molto equilibrati: Alinghi però vince per 5 vittorie contro 2, tutte conquistate combattendo duramente. La rivincita per i kiwi è rimandata.
I dramma è il dopo Coppa: Alinghi nella sua ansia di controllare l’evento senza interferenze sceglie come Challenger of Record un club con sede in Spagna nato per l’occasione la cui sfida viene resa nulla dall’intervento della Corte Suprema di New York che apre la porta alla sfida “Deed of Gift” di Larry Ellison.

 

Non tutto il popolo dei velisti conosce Matteo de Nora, un italiano di nascita con molti passaporti, la passione della vela e soprattutto della Nuova Zelanda  e della Coppa America.  Matteo ha iniziato a sostenere Team New Zealand dopo l’America’s Cup del 2000, fondando il “Mates Group of Supporters” e da allora non ha mai smesso di voler bene a Grant Dalton e ai suoi ragazzi. Sono state gioie e dolori, come la separazione da Dean Barker, per cui era un grande amico, dopo la sconfitta di San Francisco. Ma può essere considerato un vero salvataggio.  Negli anni il suo coinvolgimento, anche economico, è cresciuto e ha sostenuto il team nella partecipazione alla Volvo Ocean Race del 2011-12 e nelle edizioni della America’s Cup 34 e 35.
Con il suo supporto e collaborazione il team ha riconquistato la Coppa nel 2017 con le regate delle Bermuda e la ha difesa con successo nella edizione del 2021 a Auckland.
Nel 2011 il Governo neozelandese gli ha assegnato per il suo supporto alle campagne per l’America’s Cup della Nuova Zelanda e la ricerca medica neurologica il grado di Companion dell’Ordine del Merito della Nuova Zelanda.

Lo yacht design è il cuore del mercato della nautica e lei ha lavorato molto con i designer per le sue barche e per l’America’s Cup. Qual è la situazione attuale?
Il numero di barche a motore rispetto a quelle a vela è in aumento, ed è un peccato. Le imbarcazioni diventano sempre più grandi e il legame con il mare si attenua. Le grandi barche stanno sostituendo le case per chi vuole vivere vicino al mare, anche se a bordo il mare si sente sempre meno. L’industria dovrebbe concentrarsi sulla riduzione dell’impronta di carbonio e costruire imbarcazioni che non si affidino così tanto all’elettronica e alla tecnologia. Quando sono in mezzo all’oceano, mi sento più sicuro su una barca a vela.

Pensa che vedremo imbarcazioni da diporto foiling?
Sì. A lungo termine, il foiling arriverà sulle imbarcazioni da diporto. Qualsiasi cosa riduca il consumo di energia lo farà. Per quanto riguarda la velocità e le dimensioni, invece, ci scontreremo con un muro. Il limite sarà la realtà. Ho visto le foto di una nuova barca di 30 metri, che non è propriamente foiling ma può comunque sollevarsi dall’acqua per ridurre la resistenza. È un primo passo e questo fa la differenza.

Parliamo di transizione energetica e di idrogeno.
Se la domanda è: “L’idrogeno sostituirà l’energia elettrica nel lungo periodo?”. La mia risposta è sì, ma al momento non è economicamente praticabile. La differenza di prezzo non sarà colmata rapidamente perché il costo dell’energia generato con idrogeno è molte volte superiore alla tradizionale e per distribuirla e produrla occorre un’infrastruttura. Per prima cosa la tecnologia deve dimostrarsi valida, cosa che forse accadrà presto, e poi deve diventare commercialmente redditizia.

Sono d’accordo
I problemi sono immensi ma l’innovazione va sempre più veloce. L’intelligenza artificiale farà un’enorme differenza, non necessariamente nella qualità dell’innovazione ma nella sua velocità. La usiamo nel Team New Zealand, anche altri team la utilizzano. Tutti stanno cercando di implementarla.

Lei è un velista appassionato. Qual è la scintilla della sua passione?
La vela era l’unico modo per vedere e raggiungere certi luoghi con un’altra prospettiva. Se si viaggia con i megayacht, non sempre è possibile visitare i luoghi a cui mi riferisco. Per esempio, non si poteva navigare il Rio delle Amazzoni. Trent’anni fa si potevano visitare luoghi come le Galapagos, in America Centrale, o le isole Tuamotu nel Pacifico solo con una barca a vela. La mia passione non è stare in mezzo all’oceano con onde enormi e venti gelidi, ma la vela è il modo migliore per circumnavigare il globo.

Parliamo della Coppa America. Cosa ci dice della scelta di Barcellona per la 37ª edizione?
L’America’s Cup a Barcellona è un grande risultato. Grant Dalton dedica molto tempo all’evento. Sarà un evento importante per Barcellona, il primo dopo le Olimpiadi del 1992. La Generalitat, il Consiglio esecutivo della Catalogna e il Comune hanno accettato con entusiasmo questo progetto così grande. Soprattutto, hanno capito che questi eventi accelerano la crescita della città e lo sviluppo delle infrastrutture. Stanno facendo una quantità incredibile di lavoro. L’avrebbero fatto comunque, ma grazie all’America’s Cup, l’hanno fatto prima e a un costo inferiore a causa dell’attuale inflazione.

In che modo la Coppa aiuterà la città?
In media, un turista si ferma da uno a due giorni, se arriva o parte con una nave da crociera si ferma per 4 ore. Un tifoso dell’America’s Cup invece resterà in città da sette a dieci giorni. In un hotel ora ti chiedono: “siete qui per l’America’s Cup?”. Questo cambio è piuttosto impressionante, ed è uno dei motivi per cui l’evento si svolgerà alla fine di agosto. Perché non c’è bisogno di riempire gli hotel in agosto, luglio o giugno, ma di prolungare la stagione. Avevamo ricevuto offerte da altre città; vorrei citare Malaga, Jeddah e Cork. Barcellona però è al centro dell’Europa e può ospitare eventi con i J Class, i Maxi, i 12 metri S.I. e altro ancora.

Louis Vuitton torna alla Coppa, forse è utile anche per riportare un’atmosfera per certi versi mai dimenticata. Cosa ne pensa?
Sì, sicuramente. Louis Vuitton resta sinonimo di America’s Cup e riporterà molto più di un’atmosfera. È un partner che, come ha dimostrato in 40 anni di storia, oltre al prestigio, sa come garantire la crescita dell’evento attraverso una collaborazione positiva e costruttiva.

Cosa vi aspettate dall’AC40?
Tra quelli formati dalle donne e dai giovani, ci saranno 24 squadre provenienti da 12 Paesi, comprese le sei che partecipano alla Coppa. L’equipaggio deve essere composto atleti che hanno la nazionalità di bandiera. Credo che alcune di queste squadre non sarebbero venute se non avessimo spostato la sede in Spagna. Barcellona si è rivelata ancora una volta un’ottima scelta. Più grandi sono i numeri, più pesanti sono le responsabilità, poiché le infrastrutture, il numero di persone, la durata dell’evento e gli obblighi logistici aumentano in proporzione.

E gli sfidanti? Gli piace il Barcellona?
Penso che i team siano soddisfatti di Barcellona. Mi sarebbe piaciuta anche Malaga, perché è una città più piccola, e Cork perché è una bellissimo campo di regata e si parla inglese e sarebbe stato più facile per le squadre comunicare.

È ancora vero che vincerà la barca più veloce?
In un certo senso questo è sempre stato vero. Con il foiling siamo passati però a un altro livello, che continuo a scoprire ogni giorno. Una volta raggiunta una certa velocità, intorno ai 50 nodi, il comportamento del foil lancia sfide diverse: la cavitazione infatti apre le porte a problemi completamente diversi. Quindi l’obiettivo non è quello di raggiungere la velocità più alta in assoluto, ma di mantenere la velocità media più elevata per tutta la regata.

Il gioco dell’America’s Cup sta cambiando nelle acque di Barcellona?
Facciamo un paragone con le corse automobilistiche: se si guida su un circuito molto accidentato, si devono avere un diverso assetto delle sospensioni, un set di pneumatici particolare, ecc. A Barcellona, le imbarcazioni navigheranno nel in prevalenza mosso. Di conseguenza dobbiamo adattare la forma e le dimensioni dello scafo e del foil a queste condizioni.  Progettisti e ingegneri ci dicono che è necessario un approccio diverso rispetto ad Auckland, dove si navigava principalmente in acque piatte.

Parliamo sempre di tecnologia e a volte dimentichiamo degli uomini che conducono le barche.
Il ruolo dei velisti non è meno importante di prima. E, a queste velocità, ogni piccolo errore è molto più costoso rispetto a dieci anni fa. È interessante: la tecnologia aumenta, ma anche le capacità dei velisti devono migliorare. Adesso cinque secondi per prendere una decisione possono essere troppi. Non si può guardare solo 20 metri davanti a sé, ma 200 metri più avanti. La vela in Coppa America è cambiata molto dopo l’edizione a Bermuda. Questi sono ormai aeroplani sull’acqua.

Uno dei punti di forza di ETNZ è la presenza di un cantiere navale.
Un aspetto positivo di Team New Zealand è che siamo l’unico team ad avere il proprio cantiere navale. Durante il Covid, avevamo portato delle roulotte in cantiere per far dormire lo shore team.  Siamo stati in grado di esprimere molte ore di lavoro anche ogni volta che siamo rimasti chiusi in lockdown, cosa che sarebbe stata difficile per un cantiere commerciale. Avere un cantiere proprio significa essere più veloci: si possono fare errori ma anche correggerli. Non bisogna aspettare che un fornitore metta a posto le cose e così si possono stabilire delle priorità.

Cosa racconta di Grant Dalton?
Il team che vince l’America’s Cup deve gestire l’evento, decidere le regole, ecc. Credo che Grant faccia probabilmente il lavoro di 20 persone anche perché tutti vogliono avere a che fare direttamente con lui. Per quanto riguarda il team, il suo punto di forza è saper identificare i punti deboli, concentrarsi su di essi e migliorare. È interessante notare che alcuni dei migliori team manager di Coppa America di tutti i tempi (Blake, Coutts, Dalton) sono neozelandesi. Si conoscono tutti fin dalla scuola, dove la maggior parte dei ragazzi impara a navigare. Anche perché nessuna località della Nuova Zelanda dista più di 100 km dalla costa.

Con il ritorno della Coppa in Europa, come ci si può evolvere senza applicare formule del passato?
Si può continuare ad andare avanti senza trasformare l’evento in uno spettacolo come sta facendo la Formula Uno. Ci sono diversi modi per farlo. Ad Auckland abbiamo introdotto un livello di copertura completamente nuovo, grazie alla qualità delle trasmissioni televisive. Volevamo che i commentatori spiegassero al pubblico cosa stava accadendo e perché. Le TV libere da diritti hanno reso felici i tifosi e gli sponsor. Abbiamo introdotto regola di nazionalità piuttosto rigida e ricordato che la vela non è uno sport d’élite. La Nuova Zelanda e l’Italia sono i Paesi che seguono di più l’America’s Cup, ma stiamo lavorando per ampliare il pubblico.

Ha una squadra preferita?
Team New Zealand è forte, ma ricordo anche che nella storia dell’evento nessuna squadra ha mai vinto tre volte di fila. Oggi, NYYC American Magic sembra molto in forma e molto concentrato. Tom Slingsby è estremamente forte. Terry Hutchinson ha il talento e l’esperienza per organizzare la squadra e gestire la campagna. Direi che gli americani sono i favoriti tra gli sfidanti.

 

 

 

Alan Bond, il primo sfidante che sia riuscito a strappare l’America’s Cup agli americani (nel 1983) diceva: “chi si illude che la Coppa non sia una questione economica è un ingenuo”. Bond, australiano qualche anno dopo la vittoria ha fatto bancarotta. Era stato in grado di comprare nel 1987 gli Iris di Van Gogh per le cifra più alta mai battuta per un quadro fino a quel tempo, 53,9 milioni di dollari. Cifra poi battuta con un quadro di Jasper Jones. E la Coppa che si è corsa a Bermuda non va tanto lontano da questa regola aurea. Le isole sono state scelte per il campo di regata per la loro conformazione, ma anche per gli investimenti del Governo locale sia nei confronti del territorio sia verso l’organizzazione gestita dal defender Oracle e da Acea (America’s Cup Event Authority) di cui era presidente Russell Coutts. Un totale di 77 milioni di dollari, di cui 15 per Acea, 22 per infrastrutture (che restano), più meno quello che spende un team per partecipare.

Misurare il beneficio per le isole che sono considerate il luogo più costoso del mondo non è facile. Una bottiglia di acqua neozelandese o anche uno dei nostri marchi costa al supermercato quasi tre dollari, una mela un dollaro e mezzo. Il tassista interrogato risponde “è andata bene, quasi tutti hanno avuto qualcosa, è arrivato qualche migliaio di persone”. Altri pareri non coincidono, qualcuno scrive di alberghi che non si sono riempiti di tifosi e pubblico ma dei soliti turisti in cerca di spiagge.  Alle Bermuda abitano 65000 persone, e lo spostamento di qualche migliaio di persone che in una grande città di mare farebbe sorridere qui diventa sensibile. Nei giorni migliori degli eventi organizzati a Napoli si è arrivati a contare 50/60 mila persone presenti sul lungo mare, e non era vera Coppa America.   ACEA ha cercato di portare a casa denaro ovunque, dai diritti Tv ai biglietti. La produzione Tv meravigliosa per un evento di barche, cui sono dedicate 120 persone come a San Francisco. Tuttavia l’operazione è riuscita parzialmente, i dati di pubblico presente fisicamente sono molto modesti: il villaggio è pieno la sera quando ci sono i concerti e i Dj set che di giorno durante le regate. In molti casi i telespettatori hanno preferito rinunciare alle dirette tv per non pagare gli abbonamenti, anche alle app per tablet. Come ha dichiarato Matteo de Nora Team Principal di ETNZ in una intervista il problema della diffusione Tv diventa cruciale per assicurare pubblico alla manifestazione.

C’è anche un retroscena difficile da verificare ma di cui si parla con una certa insistenza. Il board dei director di Oracle avrebbe pregato Larry Ellison di spendere meno per la Coppa e lui stesso si sarebbe un poco annoiato del giocattolo e avrebbe detto ai velisti “cercate di essere autosufficienti”, ovvero pagate le spese con l’organizzazione e gli sponsor. Questa posizione potrebbe ragionevolmente spiegare anche la perdita di competitività del team velico e la sconfitta che si prospetta, ma non si spiega con il patrimonio personale stimato di Ellison in 50 miliardi e la sua natura di padre padrone dell’azienda. Per Emirates Team New Zealand  è facile spendere poco: sono abituati all’economia da sempre, la loro campagna vincente del 1995 è stata una delle più misurate della storia, e da allora è difficile che il denaro esca dal portafoglio senza motivo. Il team kiwi è sostenuto da tutta la nazione, in altre edizioni il Governo è intervenuto direttamente perché ha capito, purtroppo solo dopo aver perso nel 2003, che la Coppa significa avere un driver per l’economia del paese dove l’industria nautica che vale circa 1 miliardo di euro è tra le prime del paese e il turismo aveva goduto di una accelerazione, così come gli investimenti edilizi a Auckland. Una situazione completamente diversa, per interessi e dimensioni, da quella che si vive a Bermuda.

Per il dream team americano invece non avere denaro a fiumi diventa presto soffocante. E’ anche qualcosa di insito nei caratteri delle due nazioni. Quanto hanno speso? Sono stime ma ragionevoli: 50 milioni di dollari per i neozelandesi, 90 milioni di dollari per gli americani. Cifra simile per gli svedesi di Artemis. Solo gli inglesi di Land Rover BAR, guidati da sir Ben Ainslie si possono considerare i grandi battuti della edizione 35 della Coppa hanno speso di più dichiarando un budget di 110 milioni, di cui circa 60 raccolti tra gli sponsor maggiori, una ventina dalla città di Portsmouth che ha messo a disposizione base e strutture, più le donazioni degli stakeholder tra cui numerosi lord e sir. Gli altri sindacati ovvero i francesi di Groupama, i giapponesi di Softbank Team Japan, più o meno valgono 30 milioni e sono stati sostenuti da Oracle stesso con forniture di design e materiali. Uno dei quesiti per la prossima edizione è proprio come non perdere partecipanti, come riuscire a mantenere alto il livello di attenzione. C’è chi sogna le grandi edizioni della Coppa: 87 in Australia, 92 a San Diego, 2007 a Valencia, con tante squadre interessi ed eventi. La ricetta o la responsabilità  è in mano al prossimo vincitore.

La Coppa America numero 34 è finalmente finita. Hanno vinto gli americani, ha vinto Oracle che ha fatto il miracolo di rimontare un punteggio impossibile per concludere 9 a 8, risultato inaspettato solo qualche giorno fa. Ha vinto ieri notte l’ultima combattuta regata, il distacco e la cronaca non hanno ormai nessuna importanza. Soprattutto, vale dire che sono stati più veloci di bolina sempre e comunque, che si può usare la parola incontenibili. E’ finita nel modo più crudele per Dean Barker e compagni di Emirates Team New Zealand, che hanno sentito a lungo odor di vittoria, anzi era praticamente in tasca. Larry Ellison, il miliardario terzo uomo più ricco del mondo (fa sempre una certa impressione pensarlo) gongola sul podio, alza l’antico trofeo al cielo,  pensa di aver speso bene i suoi 200 milioni di dollari. Ancora una volta ha dimostrato che i soldi contano, perché sono stati il carburante per i grandi talenti che ha messo assieme. La vittoria kiwi sarebbe stata più romantica, forse più giusta anche per come va il mondo. Ma la Coppa non fa sconti.
Quel che è successo sul campo di San Francisco ha qualcosa di magico, di mai visto prima in 162 anni di storia della Coppa che da oggi abbandona l’era antica. La capacità di Oracle di rinnovare il suo team, le prestazioni della barca sono state una dimostrazione di abilità, offuscato da qualche ombra per l’amaro lasciato in bocca dalle modifiche non legali agli AC 45 per cui sono stati sanzionati. Al momento non è il caso di perdersi nella dietrologia sulla legalità della barca, la loro velocità di bolina era qualcosa di veramente spettacolare. Così come purtroppo lo è stato il declino inarrestabile di New Zealand, che giorno per giorno ha subito la pressione di un equipaggio che ha sventolato la bandiera di Ben Ainslie usandolo come vela da tempesta, pilastro di tattica e furbizia. James Spithill è un pugile , un timoniere alla seconda vittoria della Coppa, ma Ben in qualche modo è l’eroe di questa impresa, perché salito a bordo in un ruolo non suo e subito ha saputo imporre un ritmo diverso alla barca e agli uomini. Ben che poteva anche essere nel campo avverso: nel 2005 era entrato come tattico titolare in New Zealand, ma preferì diventare il timoniere di barca due “perché devo imparare a timonare e il match race”. Ben che non era a bordo nel primo equipaggio, che ha sostituito il frigido John Kostecki, campione vero ma mai assoluto quanto lui. Due cognomi italiani a bordo di Oracle: Shannon Falcone, padre italiano passaporto di Antigua e Gillo Nobili, passaporto italiano e felicità alle stelle. La sconfitta di New Zealand è anche troppo punitiva e crudele: per una settimana hanno avuto in mano la Coppa, hanno sognato e preparato il futuro dell’evento, hanno interpretato il loro ruolo di nazionale della vela. I grandi sconfitti sono Grant Dalton e Dean Barker, che hanno cercato di seguire un altra coppia famosa sul viale del successo: Peter Blake e Russell Coutts, i trionfatori del 95. Ma contro di loro c’era un’America debole, divisa, senza il portafoglio aperto di Ellison. Per loro la sconfitta è molto difficile da digerire. Dean ha pianto come un bambino dopo il traguardo, Dalton non lo dice, ma piange dentro. Torneranno? Tornerà lo squadrone kiwi? Chissa. La corazzata invisibile Matteo De Nora ha riaffermato tutta la sue ammirazione e fiducia negli uomini. Ma non basta. Errori nel campo neozelandese? Chissà forse un giorno sapremo. Uno su tutti: quello di aver reso pubblica la scoperta del foiling (il modo di navigare sollevandosi sull’acqua) troppo presto, per Oracle è stato un inseguimento continuo ma vincente grazie alle risorse senza limiti. “Abbiamo combattuto ogni giorno – ha detto Spithill – e abbiamo vinto”. Facile, a parole.
Dean è sconsolato: “abbiamo vinto l’ultima partenza ci abbiamo sperato, ma non è stato possibile competere con la velocità di Oracle. Il loro miglioramento è stato incredibile. Siamo orgogliosi del nostro team, abbiamo cercato di riportare la Coppa in Nuova Zelanda, non ci siamo riusciti”. Per quante notti rivedrà il cronometro correre in quella regata interrotta a pochi minuti dall’arrivo, la regata della vittoria. Grant Dalton commenta: “la nazione è devastata”, giorni di scuole chiuse, record di audience, i primi effetti si sentono in Borsa, con il crollo delle azioni di Air New Zealand.   Differenze tecniche, si ci sono: ala diversa, Oracle ha la parte anteriore rigida mentre quella di Emirates Team New Zealand può twistare. Oracle ha scafi più piccoli, meno voluminosi. Oracle non ha la struttura con i tiranti che consente a Emirates una maggiore rigidità, ma in compenso le traverse tradizionali oppongono meno resistenza al vento e questa, assieme al controllo con controllo elettronico delle derive (manuale per i kiwi)  può essere stata la vera differenza, che consentiva una grande stabilità a Oracle in ogni situazione.
Il futuro è incerto: chi è il Challenger of Record? Ellison ha dichiarato che esiste ma lo comunicherà più avanti. La scelta, potrebbe essere tra il Royal Cornwall Yacht Club per un sindacato condotto da Ben Ainslie con sponsor JP Morgan oppure il Royal Swedish Yacht Club per Artemis di Torbjörn Törnqvist che ha già messo a contratto Iain Percy. Bertelli aveva le carte pronte per la sfida del Circolo Vela Sicilia al Royal New Zealand Yacht Squadron, ha sempre detto che non gli interessava farlo con gli americani. Però.. ci ha abituato alle sorprese. Quasi certamente resterà questa formula di regata, con dei catamarani foiling, lunghi 60 piedi.

Che giornata, che Coppa America. I sacerdoti della tradizione, gli aggrappati al vecchio sono rimasti li con il naso sul vetro e la gocciolina di umido che cala: anche con questi ragni da cento all’ora che si sfiorano, che stanno imparando una nuova danza, una nuova match race fanno spettacolo. A ogni epoca il suo, e sembra proprio che questo sia il nuovo che avanza. Sul piano numerico la giornata finisce uno pari, una vittoria per Emirates Team New Zealand e una per Oracle, distacchi piccoli, battaglia tanta. Dopo quattro regate i punti sono tre per Emirates Team New Zealand e meno uno per Oracle. Regata tre la più avvincente: James Spithill ha deciso per l’assalto all’arma bianca e Dean Barker, che invece vuole restare lontano dai guai per scatenare i cavalli sul percorso deve subire e accettare una penalità. Però la penalità (queste barche non devono compiere un giro su se stesse come i monoscafi, ma vengono rallentate dagli arbitri per un periodo che ritengono sufficiente) non basta a dare via libera alla barca americana. Inseguita, braccata dai diavoli neri viene superata lungo la bolina con manovre magistrali dei neozelandesi che sanno sfruttare ogni metro e ogni virata. Quando sono finalmente liberi i kiwi allungano un poco il passo e vanno a vincere con 28 secondi di vantaggio. Regata quattro parte con le stesse intenzioni: Barker non vuole problemi, soprattutto dopo la penalità. Spithill vede una buona occasione nel lanciarsi all’interno con un tempo perfetto e una velocità migliore. Passa in testa la prima boa e questa volta ci resta. Emirates è sempre li, con il fiato sul collo, ma non ci sono corsie di sorpasso da sfruttare e la miracolosa bolina della regata precedente non riesce: costretto dalla situazione al bordeggio dalla parte sbagliata del campo prova più mosse, compreso un tentativo di fare foiling anche di bolina ma insegue sempre. Anche nell’ultima poppa dove si avvicina tanto ma non sorpassa: al traguardo Oracle ha solo otto secondi di vantaggio. Quasi nulla. Per gli americani una vittoria significativa, che dimostra che la loro barca non è poi tanto inferiore a quella kiwi e che ogni giorno stano imparando qualcosa. Del resto si tratta di un equipaggio di campioni, è anche difficile pensare che non sappiano reagire. La cosa più eloquente sono i sorrisi in casa Oracle, che dicono una cosa tipo “ce la possiamo fare”. Ce la faranno? Dipende dalla loro capacità di reazione, da come sapranno usare il giorno di riposo che hanno davanti per la messa a punto della barca. D’altra parte anche i kiwi crescono e martedì per regata cinque e sei potrebbero avere delle derive nuove. Il gioco è del tutto aperto. James Spithill, eroe del giorno dice: “le velocità sono simili, dobbiamo migliorare in virata. Queste barche sono veramente faticose per tutto l’equipaggio meno che per me al timone. L’equipaggio è sempre sotto pressione, non sono mai stato su una barca così”. Per chi ama i dati numerici in regata quattro Oracle per la prima volta è stata più rapida di ETNZ con 45,97 nodi mentre i kiwi hanno segnato 44,98.

E venne il giorno della prima grande battaglia, della singolar tenzone che chiamiamo match race e Coppa America. La regata delle regate ha finalmente indossato il vestito buono, non black tie delle serate mondane che tanto piacciono ai commentatori a caccia di gossip e inutilità varia, non la giacca blu con i bottoni d’oro con cui si varca la soglia degli yacht club strappandosi inviti esclusivi, non la polo griffata con cui ci si avvicenda . Il vestito buono è quello della lotta per la sopravvivenza, nel caso specifico fatto di una stratificazione di mute, salvagenti, bombole di ossigeno, caschi e quant’altro fa somigliare questi velisti a giocatori di football americano. Dopo la prima giornata di regate il vincitore è Emirates Team New Zealand: due vittorie ben costruite, due punti che avvicinano la Coppa America al primo piano del Royal New Zealand Squadron di Auckland. Nessuna regata di un giorno, nessuna corsa ha mai richiesto tanta adrenalina e potenza fisica: magari paura si, in mezzo all’oceano, ma quella paura dei marinai, che affrontano ogni mare con le infradito o i piedi nudi. Qui non si può, non si scherza più: è l’analogo della Formula Uno. Sbagli ed è testa coda, dietro il volante c’è il muretto. Finora la Coppa è stata poco eccitante nello scontro one to one anche se lo è stata per tecnologia e velocità, ma è bastata la prima bolina della prima regata ad accendere gli animi, ad alzare le pulsazioni e riportare la Auld Mug sul palcoscenico buono. Finalmente sapore di sfida,  clangore d’armi medievali, lance spade, cavalli infuriati. Le facce nel campo di Oracle sono eloquenti, la sconfitta pesa già. Regata uno inizia con un bel duello in partenza, dove Dean Barker, un po teso al mattino, controlla l’avversario e si lancia in testa alla prima boa. In tutte le regate disputate finora questo è stato in pratica l’unico momento di tensione vera. Il vento è sotto i 14 nodi e con quest’aria Oracle cammina forte: succede che non perde acqua e resta attaccato a New Zealand che gira male la boa e perde una frazione di vantaggio. Nel gioco mure a dritta mure a sinistra Oracle passa in testa e sembra contenere e controllare Emirates che il tattico Ray Davies porta a navigare dove l’isola di Alcatraz protegge il campo dalla corrente. Oracle perde Joe Newton in mare, scivola sul lucido della traversa. I kiwi ripassano e controllano, conservano il loro vantaggio con i denti e chiudono con un vantaggio di 36 secondi. L’impressione è che ci sarà battaglia anche se i kiwi tirano un bel sospiro di sollievo.  I dati tecnici sono media di ETNZ 30,07 nodi, velocità massima 43,54. Per Oracle media 28,58  con velocità massima di 42,51.
Regata due vive una partenza più confusa, con una piccola collisione su orzata, richieste di penalità non assecondate dalla giuria e poi la nuova corsa di New Zealand in testa. Questa volta Oracle, con vento più forte, applica una tattica di attesa: spesso dalla stessa parte aspetta di poter passare su errore. Che non arriva, la regata si chiude con un vantaggio di 52 secondi per i kiwi.  Le medie salgono di poco, 30,12 per ETNZ con velocità massima di 46 nodi, 28,92 con velocità massima 42,87 per Oracle. Da notare che questi dati sono con il vento in crescita nella seconda regata, e potrebbero anche essere sintomatici di quanto sia la capacità delle due barche. ETNZ ha raggiunto fuori regata i 49 ufficiosi, Oracle non si sa.  C’è davvero un margine per migliorare? Ci sono derive da cambiare montare? Difficile che i team non siano partiti con il materiale migliore: si sa che a ogni generazione di derive la velocità è migliorata sensibilmente perchè, come sempre nella vela, si è riusciti a ridurre la superficie bagnata senza pagare troppo in portanza.
Su Facebook Russell Coutts scrive: “dobbiamo lavorare per raggiungere i kiwi”, in sala stampa James Spithill dice: “velocità simili, ce la possiamo fare”. Dean Barker: “le prestazioni sono vicine, ci sono margini di miglioramento anche per noi, lavoreremo di notte”. Il futuro? Ancora incerto, Emirates deve vincere altre sette regate. Domenica altre due e poi, se non ci sono recuperi, si corre martedì.

Il filmato:
Joe Newton cade in mare

 

Inizia sabato la edizione numero 34 della America’s Cup, regata vecchia di 162 anni, un mito. Di fronte ci saranno Oracle e Emirates Team New Zealand. Oracle è la squadra voluta da Larry Ellison, ricco da essere sempre tra i primi cinque della classifica di Forbes, ha affidato tutto a Russell Coutts lo skipper che in Coppa ha vinto più di tutti, che ha costruito un team di 120 persone e con un budget tra i 120 e i 170 milioni di dollari, usando tutte le tecnologie disponibili negli Stati Uniti per far volare, e la parola non è casuale, le sue barche. Ci sono ex ingegneri Boeing, programmi di Dassault, centri di calcolo in tutto il mondo, anche in Italia, per rifinire le prestazioni dei catamarani classe AC 72. Russell Coutts ha scelto molte cose di questa edizione della Coppa America così contestata, soprattutto di spingere verso la velocità pensando che lì stesse lo spettacolo, che in realtà non piace a tutti quelli che ricordano la tenzone medievale. C’è una larga parte di velisti che preme per una contro riforma, per il ritorno all’antico. Ma ormai la strada è segnata, la Coppa del resto ha sempre guardato il futuro, e dalla velocità difficilmente si tornerà indietro. Nel lungo percorso per arrivare a queste regate purtroppo il team di Coutts ha modificato le barche di classe Ac 45, quelle piccole che hanno corso a Venezia e Napoli, e la Giuria Internazionale ha somministrato al team alcune pene dolorose, la più grave due punti di penalità che cancelleranno le prime due vittorie, poi la squalifica di quattro velisti tra cui il regolatore della wing (la vela alare) l’olandese Dirk De Ridder. Lo skipper è il mitico James Spithill, australiano e fortissimo in match race, uno dei grandi talenti della vela contemporanea, come molti dell’equipaggio. Il challenger Emirates Team New Zealand arriva dalla vittoria della Louis Vuitton dove non ha avuto, in realtà, avversari se non Luna Rossa di Patrizio Bertelli, un buon partner che sapeva di perdere ma voleva conservare squadra ed esperienza, imparare cos’è la velocità per partire in vantaggio la prossima volta. Emirates Team New Zealand non fonda la sua partecipazione sul denaro ne sul desiderio di un tycoon di comparire: lo stile kiwi è sempre quello di spendere lo stretto necessario e di essere una squadra. Il budget è arrivato a 110 milioni di dollari, ma quelli neozelandesi, fanno circa 80 milioni di euro. La squadra in realtà è una nazionale della vela, che vuole riportare la Auld Mug in patria non solo per lo sport, ma anche per sostenere l’industria nautica che è la seconda del paese (confronto impossibile con l’Italia, dove è stata demolita). Per questo ci sono finanziamenti governativi, si dice attorno ai 40 milioni di dollari neozelandesi, e una serie di sponsor tra cui anche marchi europei, come gli orologi Omega e Skyy Vodka (gruppo Campari). A tenere insieme le cose sul piano finanziario c’è un signore di passaporto americano e nome italiano Matteo De Nora, innamorato della sportività neozelandese. Sul piano sportivo il leader è Grant Dalton, signore degli oceani, e lo skipper Dean Barker. Sono due eroi nazionali, valgono come da noi Totti e Buffon. Chi vincerà? Non c’è pronostico, i neozelandesi sono un po’ più avanti nella conduzione della barca, sono davvero determinati. Gli americani sembrano più veloci in qualche condizione e con quello che hanno speso devono esserlo. Le regate iniziano sabato attorno all’una ora locale di San Francisco, forse basteranno i primi dieci minuti per capire chi vincerà le altre prove. Per portare la Coppa a Auckland al primo piano del New Zealand Yacht Squadron, Aeteoroa deve vincere nove regate, Oracle per tenerla nel Golden Gate Yacht Club undici. Sarà una settimana difficile, veloce di sicuro.